Un nome ritorna tra le pagine del quindicesimo numero di Filmidee: c’è chi ha citato la sua pratica critica, chi ha ripercorso la sua opera, chi lo ha nominato come un “compagno di viaggio” nel mondo della cinefilia. Scomparso, dopo una lunga malattia, Jacques Rivette è il più irriducibile degli autori che siamo soliti accomunare sotto il cappello della Nouvelle Vague: non a caso il suo cinema è difficile da ridurre in parole, perennemente sfuggente nel suo essere fatto di andate e ritorni tra mondi dai diversi linguaggi, quello della letteratura, della pittura e del teatro, quello delle cospirazioni segrete, quello dei fantasmi che lo hanno accompagnato nei suoi film meno compresi ma oggi più amati.

Se Celine et Julie vont en bateau è il film che riassume (oggi come ieri) al meglio il gesto cinematografico, misterioso quanto liberatorio, ancora di più è utile ripensare al lascito critico di Rivette, ai Cahiers du Cinéma con costanza tra il 1952 e il 1967, e tra i più impegnati nella politica degli autori. Forse si è un po’ stanchi di sentire citare De l’Abjection e il carrello di Kapò (anche se il suo testo resta una pietra miliare per l’analisi del cinema), ma non si può prescindere dalla necessità e dall’urgenza alla base di ogni scritto di Rivette. Perchè per lui “scrivere significa prendere posizione, schierarsi in modo aperto, anche a rischio di sbagliare. Scrivere significa porsi non su un piano di uguaglianza ma di connivenza con i cineasti che si ama. Di qui la sicurezza del giudizio e il totale disinteresse per le argomentazioni: perché non bisogna convincere ma mostrare l’evidenza del sentimento. La critica dunque non può che essere un atto d’amore” come ricorda Carlo Chatrian nel suo omaggio all’autore.

Atti d’amore sono gli scritti di Jonathan Rosenbaum, uno degli interpreti più acuti e vivaci del cinema della contemporaneità, il cui Goodbye Cinema, Hello Cinephilia ha avuto un ruolo determinante per la fondazione di questa rivista. A lui dedichiamo la sezione “From the Vault”, traducendo per la prima volta in italiano alcuni suoi saggi fondamentali e parlando con lui dello spaesamento di fronte alla perdita d’autorevolezza del critico nell’epoca dei social. Un’ampia riflessione è dedicata a un pilastro del pensiero teorico sul cinema (e non soltanto), Gilles Deleuze, figura emblematica che continua a interrogare la rappresentazione della contemporaneità. Parallelamente, portiamo avanti l’indagine nel nuovo cinema, dando voce a quattro “cineasti del futuro”.

Vi lasciamo scoprire questo numero, che non trascura l’uscita di The Hateful Eight e la bagarre attorno all’importanza dei formati e delle “visioni corrette”, ma come sempre volge lo sguardo più in là: alle sorprendenti opere prime e alle ondate sperimentali del Torino Film Festival, all’importanza di artisti da riscoprire come Lorenza Mazzetti, alla scomparsa di un catalizzatore del mutevole immaginario odierno come David Bowie.