Una serie di vedute aeree delle paludi delle Marismas, in Andalusia, accompagna i titoli di testa. Vista dall’alto, la conformazione di falde, campi e acquitrini somiglia a una serie di mappe anatomiche, dove l’estensione di fiumi e territori rimanda in modo inquietante alle forme di viscere e organi interni. Viste da vicino, invece, le Marismas de La isla mínima somigliano molto agli scenari della Louisiana del neonoir d’ambientazione “sudista”: quello che i romanzi di James Lee Burke prima e True Detective poi hanno reso popolare negli anni. Fra questi due parallelismi (la somiglianza fra spazi aperti e profondità umane e quella fra le paludi di paesi lontani nel mondo ma vicini nella logica dei generi popolari) si giocano gli aspetti più significativi del film di Alberto Rodríguez.
Circa vent’anni fa, per spiegare in cosa consistessero le tipicità del film noir, il critico Roger Ebert compose un decalogo di regole, l’ultima delle quali sosteneva che il noir è “il più americano dei generi cinematografici perché solo una società così profondamente ingenua e ottimista avrebbe potuto creare un mondo così pieno di fatalismo, perdizione, paura e tradimento”. A guardare gli sviluppi più recenti del neonoir si direbbe che le cose non sono troppo cambiate e che, in fondo, le paludi, gli attrezzi e i ruderi di campagna stanno alle luci delle metropoli, al fumo di sigaretta e alle case opulente di anziani ricchi e giovani femmes fatales dei vecchi noir. Se non altro, la pioggia è rimasta una costante, così come un certo fatalismo dei personaggi protagonisti e la presenza di un oscuro manovratore, spesso tanto disturbato quanto potente. Da questo punto di vista, La isla mínima ha poco da invidiare ai thriller americani meglio congegnati, di cui è capace di seguire la struttura in maniera impeccabile: arrivo dei poliziotti, adattamento agli ambienti, dispiegamento degli indizi, accumulazione di prove, appostamenti, rovesciamenti. Ogni elemento dell’indagine predispone e orienta la scena successiva, mentre all’interno si consuma una rivalità tutta maschile e un’attenzione ridestata da alcuni dettagli foschi e turpi. Eppure, la grande differenza che un film come quello di Rodríguez mette in mostra si gioca nel modo in cui questi mondi canonizzati pieni di fatalismo e perdizione possano originarsi anche in spazi e contesti che non hanno solo a che vedere con i cosiddetti “luoghi dell’immaginario”.
Prendiamo il rimando più immediato, quello al serial di enorme successo di Nic Pizzolatto e Cary Fukunaga. Qui non è solo l’oscurità malata delle paludi, ma soprattutto alcune vicinanze narrative a confondere acque e atmosfere fra i due lavori. Sia True Detective che La isla mínima presentano due poliziotti dal temperamento opposto, giovani ragazze della provincia scomparse o seviziate con modalità che rivelano un piano sempre più grande e perverso e un insieme di personaggi che vanno dal fascista corrotto al bifolco esaltato. Ma si capisce presto che l’operazione di Rodríguez non punta solo a entrare in un filone predisposto, ma a incidersi nel solco di un discorso più profondo che arriva a toccare la storia e il rimosso del proprio paese. Per questo la rappresentazione delle paludi non si rifà solo agli spazi di film e romanzi, ma chiama in causa immagini specificamente collocate come quelle del fotografo andaluso Atín Aya, che nei primi anni novanta fotografò le Marismas e i suoi abitanti in una serie di vedute celebri. Fondendo l’aspetto inquietante dei ritratti di Aya con tutta la tavolozza di sfumature seppia, Rodríguez concepisce già l’estetica del suo film come un’unione di locale e globale.
Per compiere il secondo passo, quello di adattamento dei generi universali alla memoria storica, segue un percorso vicino (pur senza arrivare alla stessa raffinatezza) a quello realizzato da Bong Joon-ho con Memories of Murder, dove i primi casi di omicidio seriale in Corea erano solo la materia emersa in un mare di violenza e ingiustizie militari. Scegliendo di immergere la sua solida impalcatura drammaturgica dentro la transizione democratica spagnola e il lento, difficile superamento della fine del regime franchista, il regista spagnolo dispiega in parallelo il racconto di una nazione in pieno dissidio e una serie di rimandi al franchismo tanto inessenziali all’intreccio quanto continuamente esibiti. Feticci, scritte sui muri e immagini televisive che da una funzione contestualizzante arrivano a esercitare a poco a poco un’influenza sempre maggiore sui personaggi e a dare una diversa luce alle loro azioni. Niente rimane silenziosamente sullo sfondo. Neanche lo sciopero dei lavoratori delle risaie o il desiderio di fuggire dalla provincia delle giovani ragazze del paese restano del tutto al di fuori delle indagini. E se è vero che il noir è il genere degli infiniti dualismi (bianco e nero; luce e buio; eros e thanatos) dove il passato non si può nascondere e nessuno è mai del tutto innocente, allora La isla mínima incarna alla perfezione la filosofia del genere con una visione organica del proprio territorio. Lo spazio non è solo una location ma davvero una mappa anatomica della sua storia e dei suoi malanni. E il (neo)noir non è più solo la proiezione inconscia di una nazione ingenua e ottimista, come sosteneva Ebert, ma al contrario l’immagine più familiare e riconoscibile di un passato oscuro e facilmente dimenticabile.
La isla mínima di Alberto Rodríguez, Spagna 2014. In sala dal 3 dicembre 2015 (Movies Inspired).