“È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […] ma lagrime ancora e tripudi suoi”[1], scriveva poco più di cent’anni or sono Giovanni Pascoli nel suo celebre elogio allegorico della poesia. Sembra aver presente questi pochi versi, il poliedrico Michel Gondry (regista di culto eletto, per i videoclip dei loro brani, da star del calibro di Björk, Rolling Stones, Massive Attack, Kylie Minogue e altri ancora, e per alcuni suoi lungometraggi di rara qualità, come Eternal Sunshine of the Spotless Mind e La Science des rêver), quando ha deciso di cimentarsi, con il suo ultimo film Microbo & Gasolina, nell’impresa di affrescare l’inafferrabile levità della fanciullezza.

Daniel (Ange Dargent) è un ragazzetto esile, con una lunga zazzera bionda e lo sguardo affilato, dal temperamento curioso e sensibile, decisamente poco socievole. Alcuni lo scambiano per una ragazza e i bulletti della sua scuola di provincia lo chiamano “Microbo”. In pochi quadri veloci – che l’occhio esperto di Gondry cattura con un misto di grana antica e saturi colori pop – tra le pareti di casa e i banchi della classe, conosciamo la sua vita: la mamma eccentrica in fase new-age (Audrey Tautou), il padre premuroso ma accondiscendente, un fratello punk e uno patito di calcio, e la loro sbrigativa incapacità di apprezzare lo slancio artistico di Daniel, ritrattista provetto, soprattutto quando il soggetto delle sue opere è Laura (Diane Besnier), compagna di classe segretamente amata. Quella vita viene improvvisamente strapazzata dall’arrivo in classe di Théo (Theophile Baquet), arruffati capelli neri e viso aggraziato che incorniciano occhi verdi e luminosi come fari: figlio di mamma brontolona e di padre rigattiere, meccanico a tempo perso (da qui, e dal puzzo dei suoi vestiti, il soprannome di “Gasolina”) ma, soprattutto, esuberante filosofo in erba, velocemente emarginato dalla maggioranza e, di contro, subito adottato da Daniel come amico e confidente.

Capace di muovere il suo sguardo con un ritmo garbato, Gondry immerge lentamente la cinepresa nella pungente luce di questa aurora sentimentale: le prime curiosità, le colte citazioni da sussidiario, le delusioni e le parolacce, manifesto della maturità prossima ventura, ma ancora caparbiamente tenuta a distanza per non soffocare la fiammella dell’utopia. Così, la loro amicizia corsara abbandona la mera chiacchiera rivoluzionaria e trova corpo in una bizzarra automobile costruita con materiali di risulta, mezzo per fuggire e sfottere lo sterile mondo degli adulti: poco importa se, per nascondersi alla vista dei grandi, essa debba camuffarsi da casetta da campeggio… gerani compresi. A bordo di questo sogno a due cavalli, Microbo e Gasolina prendono contromano il sentiero noiosamente battuto dai coetanei e diventano gli attori di un’avventura collodiana, ma ribaltata: Gondry non chiede ai suoi Pinocchio e Lucignolo di diventare bambini veri, buoni, come tutti gli altri, ma si aspetta da loro che restino monelli e diversi, speciali. Tra sogni di indipendenza, confessioni pruriginose ai bordi di un bosco, racconti di paura sotto il temporale e aspettative per un futuro grandioso, sotterrano come zecchini d’oro un inutile iPhone, rischiano la pelle tra i bordelli cinesi di Mangiafuoco, sfiorano il Bengodi cercando di vincere un grande aereo telecomandato durante un concorso di disegno. Più che un romanzo di formazione, quella di Gondry è una fiaba sulla tenerezza e l’unicità del breve segmento di vita che anticipa l’adolescenza senza essere più infanzia, in cui fantastico e reale sono un tutt’uno. Quel momento, però, è così breve che perfino i due monelli, alla fine dell’avventura, dovranno misurarsi con la forza di gravità di quel mondo da cui tentavano di evadere…

Non tradendo il suo amore per la rappresentazione surreale e favolistica, l’autore tesse la trama di una commedia gentile e stralunata, che da un lato riconosce la realtà e dall’altro accarezza il sogno, senza la pretesa di piegare l’uno all’altro. Per questo, l’amicizia tra Daniel e Théo assume un valore archetipico: è il frutto del reciproco riconoscersi, dell’accettazione incondizionata della loro irrinunciabile unicità, nel vedersi simili e differenti, nel rispecchiarsi vicendevolmente, anche quando delle relazioni scoprono le prime ruvidità, gli inevitabili sconforti, frustrazioni e debolezze. Non è un caso, in fondo, che a essi il regista affidi una irresistibile attitudine alla filosofia, che potrebbe riassumersi tutta nella massima che Gasolina asserisce, lapidario, davanti a un festante Daniel: «No, io non do il cinque: è volgare».


[1] G. Pascoli, Pensieri e discorsi, 1895-1906, Bologna, Zanichelli, 1914.