A 20 anni credevo ingenuamente che in futuro si sarebbero scritte poesie e girati film anziché produrre questi grossi noiosi romanzi da plagiari, ora che non ci sono più occupati benestanti a cui riempire le lunghe oziose sere d’inverno…

Sul cinema gravava una profezia secondo cui ci sarebbero solo 3 generazioni di cineasti come ci furono 3 generazioni di tragediografi greci – era l’avvento di una macchina, curva dello spazio-tempo che viaggia attraverso gli accidenti del pensiero per rimontarli; il suo segreto svanisce ora all’improvviso, come un tempo la tragedia si spense a favore di un varietà teatrale generalizzato…

A ben vedere il cinema dalle origini al 1931 era molto più ricco – aveva inventato un linguaggio autonomo a tutta velocità, prima che dal 32 al 78 il cinema di dialoghi cedesse terreno a favore al teatro filmato, poi all’Harmony stilizzato…

Ora arriviamo noi, la 3a generazione, insieme a un macchinismo sonoro autonomo, emancipato dalla tecnica, per dirigere dei film muti rumoristi! Back to Zero… Il pianeta a noi!

Ma prima di tutto, a chi parlo? A un lettore, un voyeur, un parlante, uno sparlante?! Un fanfarone che non sta a farsi raccontare storielle policrome e digitali. E di cosa si sente parlare? Kino-poiesis!? Senza che sappia il perché, il cineasta è vicino al poeta – trovandosi ai suoi antipodi. La poesia si fonda su una passione lacerata per la propria lingua materna, mentre il cineasta scruta prede solari e cala sul mondo come un rapace – le parole non hanno altra vocazione che delineare il suo piano d’attacco prima di sparire nell’incatenamento della persistenza cacciatrice da un piano fotonico all’altro nella più viva equivocità possibile… No?

Posso sbagliarmi, ma questa antinomia gemellare del poeta e del cineasta ha inquadrato le mie prime ambizioni. E come far procedere il discorso se non col riverbero della mia esperienza…

Da quando ho ricordi, nella mia infanzia ho amato tutti i film, di ogni tipo e genere – fino al punto di svolta quando il cinema è divenuto troppo utilitario o troppo chic – a scapito di una selvaggia intelligenza, tra le più speciali, che lo distingueva dal resto della cultura…

Negli anni 30 un gran numero di film muti furono distrutti dagli stessi detentori dei diritti, produttori e distributori, per il timore degli incendi generati dalla pellicola infiammabile (nitrato), visti i costi elevati per conservare del materiale inservibile per un pubblico ormai convertito al parlante. Più tardi, alcuni capolavori riemergeranno con la scoperta di copie quasi intatte sul fondo delle piscine di ville fantasma in Alaska, dove i loro esercenti le avevano accatastate e abbandonate… Sopravvivenza della pellicola, congelamento delle piscine.

Attualità futura delle protesi mammarie PIP – fra 3 o 5 anni panico nel post-cinema: le protesi digitali PIP si lasciano andare. Perdite, diffusione, obsolescenza elettronica: la plastica dei neo-film si fa cancerosa e forma noduli sospetti – il ministero raccomanda di sostituire preeesto un negativo analogico ai master digitali… Panico fra i produttori: le nuove stampe da digitale saranno finanziate… Nel 2011 la dotazione di una sala di 5 unità è già costata 400 000 euro al CNC – ottenuti dal Grande Prestito Nazionale di allora… Ora le casse sono vuote… Non ci sono più laboratori di stampa, Kodak ha chiuso.

Metafora: il cinema analogico sarebbe dunque stato eradicato sotto l’influsso del padre di Terminator. Il successo mondiale di Avatar ha titillato i nostri indovini convincendoli dell’urgenza di passare al 3D digitale per salvare l’industria cinematografica…

Ma dov’eravamo, gentili ascoltatori… A che pro dei cineasti in tempi di mancanza di credito e panico speculativo… Si scopre che schiacciare dei bottoni ha un costo orario molto più alto che caricare una pellicola… Tempo morto per la chimica cannibale: ricordo il 1989, quando portammo la Technovision 35mm sul set delle Azzorre, per Le Trésor des Îles Chiennes… Inquadratura devastante, che rastrellava tutto al suo passaggio, vertigine delle torrette di obiettivi del cinemascope, e un folle appetito per la pellicola bianco e nero rigurgitante dai caricatori: grigia, liscia, verniciata su un lato, bruno chiara beige e non trattata sull’altro… L’avrei divorata, come un cane rabbioso in una notte di plenilunio equinoziale… Altro secolo…

[…]

Ormai ci siamo – la guerra può arrivare, l’economia la presume, ma cosa giustificherà l’invasione, quale coincidenza. “Un’epopea è un poema che include la Storia. Nessuno può comprendere la Storia senza aver capito cos’è l’Economia”, dice Ezra Pound. Quale modo d’espressione più del cinema include a tal punto l’economia nella sua forma, in modo non simbolico, ma effettivo, a parte l’architettura. L’Art Nouveau, il cemento, la fine della pietra, il Bauhaus, la razionalizzazione dello spazio e dei materiali, l’introspezione negatrice all’esame delle rovine – e poi travi, un sacco di travi, di statue di ferro e ponti sotterranei, bunker acquattati sotto i giardini e torri ormai ridotte a bersagli… Le antiche competenze, certo spariscono con la stessa velocità con cui si affermano le nuove tecnologie, come la logica basilare delle attese e delle misure oggettive per rendere conto di un risultato… Economia simbolica, inventario dei luoghi psichici, e poi sociologia delle catastrofi – punti di rottura passati d’un tratto quando la macchina emancipatrice diventa fabbrica di derealizzazione. Elettricità e magnetismo non fanno più massa – uno scollarsi, uno schiodarsi dal reale… Il credito, la stampa di banconote, i tratti e l’astrazione del sangue funzionano ancora e infrangono accordi senza danni o legittime contrazioni del mercato – e poi fine: siamo fatti, e rifatti! La cifra incommensurabile delle operazioni di borsa compiute dalle macchine a ogni secondo ci tiene all’oscuro della realtà – magia dei trucchi digitali, slogatura speculativa, combinazione del non far più e dell’avere, bancarotta. I cantieri si fermano, le banche danno forfait, i popoli urlano per le strade, si filma con telefoni portatili senza cercare più il quadro, tutto è sfocato, sbraitante, complesso senza esser compreso – tutti a vantarsi, prevedere, esonerarsi, provvedere, dislocare e rilocalizzare, non c’è speranza! Tutto troppo tardi: integralismi senza integrità, masse circolanti e grondanti, tutti gli osservatori stanno contratti a furia di non comprendere, frotte di contagi e riduzione dei segnali, perdita degli indici, compressione degli effetti, raffiche di scompiglio, ma sempre senza soluzione: tutti sanno bene che bisognerebbe prendere la tangente, cedere gli utili, convertire tutto, ma in cambio di cosa e per fuggire dove?

Esaurite le prospettive, svalutazione e contaminazione dello spread, my god, cosa mettere nel portabagagli e come giustificare l’abbandono del campo quando la geografia si sottrae… Anche i miliardari cinesi smontano le tende per costruire altrove i loro palazzi, è peggio del 98 in Russia, del 2001 in Argentina, del 2008 a Wall Street – non c’è posto in cui si sfugga alle maglie della rete, epidemie e furori impazzano ovunque – e presto… niente più nutrimenti! (Artaud)

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A che pro scrivere di cinema, ormai… Per stabilire posizioni, destabilizzare detrattori, far polemica, ma innanzitutto approntare campi di visione che reclamino dei film, dei nuovi film… Il vecchio mondo sprofonda, e dunque… Si rischia di non realizzare più gli stessi film intimisti o di grandiosa anticipazione – quelli che non si è mai saputo girare. La guerra civile mondiale è in arrivo, non c’è dubbio, bisognerà documentare i contemporanei sulle manovre dell’avversario, registrarne le avanzate come le perdite, delineare un fronte, affidarsi alle alleanze, sventare le cospirazioni… I ricordi si affolleranno nella decodifica delle tavolette elettroniche che riassumono gli episodi precedenti – sulla carta non si leggeranno che i grandi poeti scomparsi, e i ragazzini passeranno il tempo a rimontare frammenti di vecchi film su musiche più o meno nuove. La pellicola sarà una prelibatezza rara, niente più colori – è una fabbrica a gas lo sviluppo chimico dei colori – ma solo bianco e nero… Invece dei film digitali che si facevano prima della fine, sempre più lunghi, lugubri e affetti da monomania, gireremo dei film brevi, densi e rapidi nel pensiero… Il colore sarà per forza elettronico. E poi anneriremo pagine e pagine nei diari di viaggio, e d’esilio, per misurare la distanza percorsa – i grandi romanzi falsi non interessano più a nessuno, il mondo passa in un movimento in perpetuo cambiamento, la condizione di ieri non sarà più quella di domani, o dopodomani.

Ma perché parlo di tecnica? La tecnica fornisce le risorse linguistiche nel momento in cui ce ne facciamo carico. Mi ha scioccato l’idea che la pellicola possa sparire del tutto dal campo cinematografico. La pellicola a colori è fottuta anche solo per la complessità della sua elaborazione e trattamento. Il bianco e nero, invece, è relativamente semplice da produrre e sviluppare – non si ricorda più abbastanza che il cinema e la fotografia derivano dalla stessa tecnica. Il film è fotografia a 24 immagini al secondo… Se il film a colori dovesse sparire diremo che la colpa è sua: pellicole così fini e sensibili che sembrava di guardare video ad altissima definizione, mentre il bianco e nero ci ha sempre affascinato, con la sua tecnica fissata una volta per tutte nel 1978 – sensibilità limitata a 100 o 200 asa, grana d’immagine variabile e concreta come la traccia di un pennello, o i cieli cangianti appena prima del temporale…

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Finite le correzioni per “Hiver sur les continents cernés”* (testi della rivista CEE, 1977/79) che uscirà nell’aprile 2012. Salto nel tempo di 34 anni. MKB Fraction Provisoire, i primi film, Génération Néant, viaggio in Portogallo nell’86, Le Trésor des Îles Chiennes, le Azzorre… Au bord de l’Aurore a Madrid, poi rotta sul Cile, Docteur Chance, Nuova Zelanda, Russia, ancora Argentina e Uruguay, Silencio 2006, ritorno in Portogallo, poi Russia, Vladivostok, atterraggio alle Azzorre 20 anni dopo, per Dharma Guns… strana vita, strane casualità, strani luoghi e corrispondenze.

L’ultimo numero della rivista CEE si chiuderà con “Videoscritti & canto tribale”, un saggio sul video in cui non trovo altro che parole. Nel 1979 non immaginavo avrei fatto cinema, riprendevo dritto dal teleschermo davanti a me. Rivoluzione elettronica, WSB, [William Seward Burroughs] détournement, mutazioni e pirateria… E poi sono finito sulla pellicola, tempo di un film girato in un giorno, La Dérnière Enigme, poi Zona Inquinata, per non tornare più indietro… Il video mi ha insegnato molto sul fare film, facendomi risparmiare tempo – a partire dall’assimilazione delle 2 dimensioni del quadro o dal catturare le gesticolazioni del reale… Ma col tempo l’elettronico sembra aver catalizzato fantasmi, ispirato parole che generano visioni… Miraggi del presente e del futuro! Non fosse che, con mia grande sorpresa, è la pellicola a scomparire… Che dire della sua brutale estrapolazione! Il cinema digitale è prima di tutto l’ossimoro finale – la dolce apocalisse in cui le virtù dello sguardo si dissolvono nella registrazione, a scapito dell’impressione luminosa, dell’incisione!

Bah, è finita, vogliono tutto. “The Show Must Go On!” Ma è tutt’altro che sicuro.

Montaggio! Coinvolgente rilettura del manifesto del contrappunto sonoro di Ejzenstejn, Alexandrov e Pudovkin a inizio anni 30, dove i tre cineasti esortano l’URSS a dotarsi al più presto della tecnologia sonora, segnalando il rischio di mandare in soffitta tutta l’arte del montaggio… Ricordo di una montatrice brasiliana incrociata a Lisbona, quando avevo finito di girare Silencio – stupita che avessi optato per il 16mm in un progetto con così pochi soldi. “Non devi essere uno pigro tu. Accuso i registi attuali di pigrizia, di non scegliere, di trasformare noi montatori in classificatori – perché non si monta più, si classifica! Scegliamo al posto del regista, la compilazione si sostituisce alla regia, schiacciata dalle non-scelte di ettochilometri di nastro magnetico – privata di ogni punto di vista… Si classifica, si assembla, si cerca una fluidità coerente, ma non si fa più montaggio…”

Sul momento quella riflessione mi aveva folgorato – avevo terminato 6 giorni di riprese con 90 minuti di film per conservarne 21 al montaggio, quando un cineasta digitale avrebbe sicuramente accumulato 12 ore di girato… Quando sono passato al montaggio, dopo 9 anni di assenza dalla moviola, la mia prima intuizione è stata di interrogare le inquadrature, scrutarle per assorbirne tutta la sostanza, imparare a memoria i motivi, la luce, gli accidenti, la ritmica e il battito accidentale – fino a ricostruirli con l’intuizione, gli uni in rapporto agli altri, seguendo una logica che cercava un’equivalenza tra il flusso della luce e quello del mio sangue – astrazione dinamica corrente pura di insorgenze elementari a cui le parole, scritte prima del film, non dovevano sopravvivere che per la loro funzione geroglifica e dialettica tra due o cinque inquadrature prima che il suono arrivasse a marcare le intensità della sola partitura… Infanzia dell’arte, pensavo… Attrazione sessuale della pellicola – in pieno sole, e nella penombra della sala di montaggio…

Infanzia dell’arte, musica della luce, ricorrere all’immaturità per un’interpretazione moderna del mondo… Ma innanzitutto: Gioventù…

Si comprende così la specificità del racconto cinematografico, con le sue ellissi e le sue immanenze – intreccio contro intreccio, quando invece la letteratura, il teatro filmato sacrificano alla comprensione lineare, sequenziale di un intrigo, di una progressione psichica e di un assemblaggio di aneddoti e di eventi che producono del sentimento in ragione del verismo sociale messo in scena.

Nulla di ciò nel cinematografo: l’apollineo e il dionisiaco si danno fulgore reciproco, l’ebbrezza del suono si combina all’elezione plastica o statuaria dell’architettura e del corpo per far danzare il sangue, confrontare l’ardore delle vene e l’istinto, la frase luminosa e sonora al piombare dei simboli – palesemente blasfemo, rivelazione al prezzo della corruzione. Mitologia! La poesia, la pittura, lo scompiglio, la deflagrazione, i gesti e l’inondazione…

Gioventù delle attrazioni – catturare lo scintillio di una carrozzeria laccata di fiamme al termine del giorno, bersagliare l’istante gonfiato dal sangue sotto il tessuto, udire il rumore di corazzate venute ad abbattere per sempre il nostro mondo… Gioventù delle attenzioni che l’arte adulta non saprebbe convocare senza simulare cattivo gusto quando invece il cinematografo s’impossessa in un lampo di un’opera classica istantanea… Vitalità istintiva – “La vittima di sempre si sacrifica solo per strane donne” (Stanislas Rodanski).

400 km a osservare minuziosamente l’oscurità piovosa, le burrasche stradali sulle piane della Castiglia. Bilbao Vitoria, Burgos, Valladolid, Salamanca, attraversate nella distrazione di un sogno di nebbie diluviane. E la chiarezza eccezionale della nube sui nostri volti, un improvviso aprirsi di stelle dopo Burgos, e di nuovo il disordine elementare e le secchiate d’acqua riversate sui tergicristalli a ogni sorpasso di tir  – questa luminescenza di fantasmi e tenebre da ritrovare – descrivere questo Turner poché de noir in Docteur Chance (nota del 9)

“Pensare senza la minima rottura, senza falle nel pensiero, senza quelle improvvise sparizioni a cui è abituato il mio midollo emettitore di correnti”

(Antonin Artaud, L’ombelico dei limbi)

E appena prima: “Una specie di costante dispersione del livello normale di realtà.” Artaud sembra qui descrivere lo stato che precede quello del film, densità opaca e perforata che reclama una completa magnetizzazione e insieme una diluizione degli affetti, un rimontaggio del reale – un abbandono ai sonni del mondo fino a guarigione – “il cinema è l’arte del sonno”, concludeva Vigo, in perfetto accordo con Artaud: “il cinema deve essere come un veleno innocuo, un’iniezione sottocutanea di morfina…”

Tutto sfugge e ci disarma quando un film sorge per saldarci alla sua intermittenza multipla – permettendo così di ricrearci.

Gioventù degli affetti perduti – gioventù del film… Sotto il bruciore chimico della pellicola una relazione dall’effetto immediato ci incarica di un’impresa mondiale. Montaggio, e subito ci siamo – catastrofe o sogno tragico, derive tra l’effrazione geografica e l’ottuso metabolismo del sentimento,  e subito ci siamo! Il blocco indicibile e le sue divisioni si dissolvono in un sole fisso fuggitivo, l’uomo, la donna e l’infusibile si uniscono e ci spingono attraverso un’emorragia sensitiva… Piaghe si richiudono sul cuore aperto pulsante, tanto attivo che il mondo attorno si paralizza, mentre ci avventiamo su di esso attraverso continenti e questioni – bolide improvviso proiettato fuori dalla propria carcassa di metallo, che vive e palpita fuori di sé come annodato a una poesia – è solo cinema – e allora! … Spegniamo…

Il film ha mostrato la giovinezza del mondo, finendo per indurla completamente… Si è colta la necessità della deriva, della captazione di molteplici universi in una sola volta, prima, dopo, durante – proprio quando la separazione del reale ci lavorava magicamente, come l’incantatore lavora il suo soggetto, distrugge e sfigura i suoi riferimenti… Da un lato, è tutto cominciato con l’alterazione dei sensi, dall’altro è stato meccanicamente fabbricato per dedicarci all’incurabilità solare – l’accesso a mondi che si muovono sotto e attraverso i mondi stessi… Kinoglaz, l’Occhio Psicotropo.

Gioventù – perché qui sta la questione dell’Immaturo… Come risalire alle soglie, quando tutti i paesi, gli esseri, le idee precostituite, le età, i calcoli per un impero riescono a sconvolgerci, a interagire al fondo degli atomi e nel palpito delle vene per caricarci, per attrarci in una conduzione elettrica esistenziale diretta – il gesto trasmette le parole, il verbo l’induzione sessuale…

Gioventù che si gira e rigira mentre trascorre e ci rende indicibili…

Film tra le cose e al di sopra dei mondi – agire veloce e senza procura…

Dico semplicemente che questa esperienza che ci inonda prima (la vita), dopo (la morte) e dentro (l’elettricità) – è il cinema allo stato puro…

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Tratto da: F. J. Ossang, Mercure Insolent, Armand Colin, Parigi 2013

Traduzione di Tommaso Isabella

http://www.armand-colin.com/mercure-insolent-9782200279813

* http://lefeusacre-editions.com/hiver-sur-les-continents-cernes-ossang/