È notizia di poche settimane fa che Terrence Malick, da anni al lavoro su un lungometraggio che racconta la vita di Gesù, avrebbe scritto una sceneggiatura con l’intento di affidarne la regia ad Harmony Korine. Sebbene Korine non sia nuovo a insolite collaborazioni artistiche, dalle giovani star di Disney Channel fino a Werner Herzog, vien da chiedersi cosa mai possa muovere l’autore di alcuni tra i film tematicamente più alti degli ultimi trent’anni a ricercare come canale per il proprio manoscritto la poetica di un regista che ha messo in scena alcuni degli aspetti più sudici e depravati dell’America contemporanea. Eppure, e lo dimostra a più riprese un film come Spring Breakers, si potrebbe dire che Korine sia uno dei filmmaker più interessati alle “cose dello spirito” che, già fortemente provate dalla grande crisi vissuta nel ‘900, investono il 21º secolo sotto forme impreviste e insospettabili. Si pensi, ad esempio, alla tradizione accademica della spring break e alle parole usate da Faith (Selena Gomez) per descriverla: “This place… is special. I am starting to think this is the most spiritful place I’ve ever been.”

La crisi dello spirito, disse Jean Prévost, “è una magnifica orazione funebre, ma di qualcuno che non è affatto morto.” Ecco, l’ultimo film di Harmony Korine, Aggro Dr1ft, presentato fuori concorso a Venezia 80, potrebbe essere definito come una magnifica orazione funebre di qualcuno che non è affatto morto. E anche se il film si apre proprio con un’omicidio, non è tanto l’atto dell’assassinio in sé a interessare Korine e il sicario protagonista quanto più l’attesa preparatoria all’uccisione. Per essere un film su un autoproclamatosi “best assassin of the world”, di morti effettive se ne vedono poche, pochissime. Un film d’azione che nega l’azione, ne disattende le aspettative liquidandola in pochi secondi nel finale. La violenza è più che altro incarnata in un mondo residuale, quasi un Far West postumo nel quale vige la legge del più forte. Forse, in una selezione veneziana che vede almeno altri due film interamente incentrati sulla figura dell’assassino (The Killer e Hit Man), Aggro Dr1ft è l’unico film sul tema ormai possibile, perché del tema ne fa questione laterale, concentrandosi e dilatando invece tutto ciò che atto violento, di per sé, non è. L’addio rituale ai propri cari, la scelta dell’arma da fuoco (che nel momento topico non viene usata), il vagabondare per Miami a bordo della propria supercar. Il titolo del film è nient’altro che espressione del moto che pervade il protagonista, e cioè un attrito esistenziale che affronta la durezza dell’asfalto slittando su esso con maestria di controllo, un controllo sempre e per forza di cosa al limite ultimo della perdita dello stesso, poco prima della deriva. 

Una grande solitudine pervade il killer protagonista. Un senso di solitudine e smarrimento a cui Korine ha abituato e che, dopo il Moondog di The Beach Bum, sembra assumere toni sempre più apocalittici. In effetti da The Beach Bum il film reitera, estremizzandola, una narrazione che procede musicalmente, rendendo la modulazione di ogni sequenza molto più vicina alla forma del componimento poetico – non sarebbe strano immaginarsi che possa essere stato proprio Moondog a scrivere la sceneggiatura del film. Se Korine, sin dai tempi di Gummo, non è nuovo a narrazione disarticolate e apparentemente sconnesse, sembrerebbe suscitare scalpore la totale e inedita assenza di una progressione drammaturgica del film. Ma che ciò sia inedito nella filmografia del regista non corrisponde al vero. Blood of Havana, per citare un lavoro breve del regista, non è nient’altro che una forma ridotta, prototipica di un’opera come Aggro Dr1ft, dove il dialogo interiore dei personaggi diventa colonna portante dell’intera imbastitura narrativa. Il soliloquio qui compie ancora un passo in più verso l’astrazione, diventando veicolo delle informazioni minime per la comprensione del film. Questa esasperazione espositiva, con i personaggi che parlano come fossero NPC, sembra abbandonare del tutto l’interesse verso un dialogo classico e funzionale per farsi invece suono ritmico, un po’ come già avveniva con le cantilene stonate di Trash Humpers. 

Sarebbe interessante ragionare sul perché, nello stesso anno, non uno ma due film fortemente “biblici” (Aggro Dr1ft e The Zone of Interest) mettano in scena l’inferno attraverso l’utilizzo di camere termiche. Ma se nel film di Glazer la visione termica è pienamente percettibile come scelta linguistica in contrasto con la normale visione del mondo, nel film di Korine questo dato viene meno e la materia del profilmico sembra non poter esistere se non sotto forma d’onda di calore. La termicità delle immagini, dei corpi, fa sì che questi possano essere sondati non tanto in una qualche innata profondità spirituale altrimenti invisibile quanto più per il rapporto che questi instaurano con il mondo circostante, per le tracce di calore sparse e impresse su altrettanti corpi, altrettante anime. 

Mosè si disse allora: «Andiamo a vedere che cosa straordinaria è questa: perché il roveto brucia ma non si consuma?» Ex 3,3

Nel cortometraggio del 2009 di Cameron Jamie, Massage the History, alcuni uomini afroamericani sono intenti in un ballo che li vede compiere ampi e sensuali movimenti pelvici contro vari oggetti d’arredo domestici. La danza assume un tono lisergico e a potenziare questo sentore trascendente è la scena centrale nella quale, accanto a questi uomini, un albero brucia all’interno dell’abitazione. Non c’è una vera ragione diegetica del perché l’albero divampi, eppure lo fa così violentemente da far sì che la fiamma si pieghi e percorra a tutta forza almeno un metro di soffitto. Korine ha più volte definito il cortometraggio di Jamie come uno dei suoi film preferiti in senso assoluto, “il suo personale Quarto Potere, meglio addirittura de Le Scarpette Rosse in quanto a film sulla danza.” Non si fa fatica a credergli, visto che, nello stesso anno, Korine utilizza quegli stessi movimenti pelvici nel suo Trash Humpers, movenze una volta ancora riprese in Aggro Dr1ft dal “boss finale” che il protagonista è chiamato ad affrontare. Musica, poesia, danza, linguaggi volti a un onanismo esasperato e misogino, eppure ribaltato da una sacralità che tutto pervade e nulla esclude. “There is magic in all this brutality.” L’elemento salvifico di questo mondo di reietti però per Korine assume una forma ben specifica, quella dell’infanzia –  e per un enfant prodige non è strano capire il perché. Trash Humpers ritraeva dei mostri, mostri molto più umani degli umani stessi. Un’umanità data dal commovente afflato materno del finale in cui il personaggio di Momma rapisce un bambino soltanto per cullarlo dolcemente illuminata dalla luce divina di un lampione. E di nuovo, l’unica cosa a interessare veramente i sentimenti del protagonista di Aggro Dr1ft, e di Korine stesso, è l’amore verso la propria famiglia, i propri figli. “Love is everything, love is God and God is love.”

E che noia chi già dismette il cinema a favore di non si sa bene quale nuova forma linguistica. Perché di videoludico, qui, c’è tutto – tanto e innovativo – tranne l’interattività che di un videogioco ne fa tale.