“Ci sono film concepiti come saggi critici su altri film. Invece di scrivere un testo, il regista mette in scena un film. Come Un dollaro d’onore di Hawks è una critica di Mezzogiorno di fuoco di Zinneman, in proporzione anche il mio La France può essere visto come una critica di Una lunga domenica di passioni di Jeunet. Il metodo è semplice e consiste nel prendere la stessa situazione di partenza […], disattendere le aspettative rispetto ai ruoli di aiutante e di aiutato […] così che, quando alla fine arriva l’amore, la dinamica si inverte e il personaggio principale ritrova un po’ di fragilità”[1]. Così scriveva l’attore, critico e regista Serge Bozon nel 2010 per annunciare l’idea di fondo del suo Tip Top, selezionato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2013, come risposta ai noir pomposi alla Nemico pubblico n. 1 con attori tipo Vincent Cassel o Gérard Lanvin “che si inseguono nelle Galeries Lafayette sperando di arrivare primi al reparto pistole a grosso calibro”. E infatti Tip Top era una detective story che si prendeva gioco di se stessa portando in scena le esangui Isabelle Huppert e Sandrine Kiberlain nei panni di due agenti di polizia completamente sbarellate.

A quattro anni da Tip Top, Serge Bozon prosegue con Madame Hyde il suo viaggio attorno ai generi e contro le convenzioni narrative affidando ancora una volta a Isabelle Huppert un ruolo comico ma non privo di venature severe e inquietanti, che a Locarno 2017 le è valso il premio come migliore attrice protagonista. Madame Hyde è un film talmente ricco di intertesti possibili che se fosse un cine-saggio sarebbe la rivisitazione critica non di un singolo film ma di due interi filoni: da una parte il racconto di Robert Louis Stevenson, portato al cinema e in tv da oltre un centinaio tra lungometraggi, cortometraggi, serie tv e cartoni animati[2], dall’altra tutta la tradizione di film d’ambientazione scolastica stile Il seme della violenza che narrano il rapporto tra un docente e una classe o un allievo difficile.

La protagonista, Madame Géquil, insegna scienze in un istituto tecnico di periferia. Il suo nome è già indice dello humor stralunato con cui è narrata la vicenda. Impacciata e incapace di imporsi, l’insegnante è oggetto di ogni tipo di angheria da parte degli alunni. Tra questi spicca su tutti per sfacciataggine Malik, che fa tanto il furbo con la professoressa ma è poi un paria a propria volta per via di un handicap alle gambe. Una sera, la donna è colpita da un fulmine che la lascia illesa ma la trasforma in una persona iperdotata di energia e autorevolezza, capace di imporsi in classe e di sconvolgere il marito con una sensualità a tratti animalesca che si amplifica nelle notti di luna piena. I presupposti sono un po’ quelli de Le folli notti del dottor Jerryll con Jerry Lewis e del suo epigono Il professore matto con Eddy Murphy ma Madame Hyde passa il fantastico al setaccio del sociale e viceversa.

Infatti, a partire da Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, il film attinge a diverse altre figurazioni classiche del doppio come il lupo mannaro e i supereroi (Superman, Spiderman) per raccontare il desiderio di trasfigurazione magica condiviso da qualsiasi docente frustrato alle prese con le pene dell’insegnamento in contesti di emarginazione economica e culturale. Come in Ho sposato una strega di René Clair con una Veronica Lake dai super poteri, anche in Madame Hyde la mutazione si opera tramite un fulmine, fenomeno in bilico tra fatalità e scienza. Caso e razionalità, freddezza e ardore, aridità e fertilità, natura e cultura sono alcune delle polarità che determinano il campo magnetico di un film sempre doppio, in cui i fenomeni naturali dettano le dinamiche narrative mentre la messa in scena è fortemente stilizzata, la recitazione antinaturalistica (accanto a Huppert uno strabiliante Romain Duris nelle vesti di un assurdo preside dandy) e il ritratto della realtà sempre un po’ trasfigurato dal sogno in chiave surreale.

Lo spazio riservato alla didattica costituisce una delle sorprese del film. Per Bozon la lezione non è un residuo e neppure uno spazio in cui esplicitare la morale del racconto o da asservire alla gloria dell’ego insegnante. “Un buon insegnante non deve essere amato, deve essere capito!” dice Géquil in sprezzo alla retorica da pedagogo populista in chiave L’attimo fuggente. Per questo l’asse del film non gravita attorno al magnetismo della seduzione di cui è capace il corpo insegnante bensì attorno al potere d’attrazione esercitato dal sapere stesso. Con piglio estremamente credibile, Isabelle Huppert dispensa articolate spiegazioni di quegli stessi fenomeni fisico-matematici che presiedono le traiettorie dei personaggi, come ad esempio la riflessione di un punto su una retta che metaforicamente ci parla del rapporto tra Géquil e Malik, entrambi disadattati ma inizialmente distanti e poi progressivamente sempre più capaci di riconoscersi l’uno nell’altro. Passando dalla teoria alla pratica, la docente permette al ragazzo di compiere il tragitto inverso, e in tal modo di accedere a una capacità di astrazione a cui sembrava precluso dai meccanismi di (auto)esclusione che condizionano i ragazzi magrebini dei ceti popolari. Il film racconta dunque il processo di trasmissione di un sapere che condotto efficacemente diventa elettrizzante. Quando però i corpi elettrizzati si incontrano, a meno che non ci sia una gabbia Faraday a isolarli, proprio come quella che Géquil costruisce coi suoi allievi, la collisione libera energie esplosive, scariche incendiarie che non possono lasciare indenni perché nessun passaggio di stato (né di status) è mai privo di perdite.

[1] Serge Bozon (2010), “Quelles sont les choses heureuses qui donnent envie de tout casser ?”, Vertigo, 37, pp. 92-95.

[2] Charles King (1997) “Dr. Jekyll AND Mr. Hyde: A Filmography”, Journal of Popular Film and Television, 25:1, pp. 9-20.