Les films rêvés (2010) è un film di Eric Pauwels che raccoglie in forma di atlante i film che il cineasta ha sognato di girare nel corso della propria vita, ma non ha mai potuto realizzare; questa la definizione di film sognati con la quale la voce narrante di Pauwels introduce la sua opera a conclusione di una cernita di film e dei loro gesti quotidiani: “[…] vi sono film che agiscono e film che osservano; film che chiudono gli occhi e film che li aprono; […] film che ridono e film che piangono; vi sono film che ricordano e film che dimenticano. Infine, vi sono i film che ho sognato e poi realizzato, e i film che ho sognato senza poterli realizzare. Ecco, dunque, i film sognati.”

Ascoltando il testo, appare a sinistra dello schermo il video raffigurante la prima azione, a cui ne viene poi affiancato un secondo raffigurante l’azione opposta. Si vedono dunque due video circondati dal nero dello schermo che scorrono allo stesso tempo. Il testo mette ogni coppia di azioni in contrapposizione secondo una dialettica antitetica inconciliabile (si può difatti ricordare o dimenticare, aprire o chiudere gli occhi) che viene inaspettatamente sintetizzata dalle immagini; ci si aspetterebbe che queste siano in opposizione tra loro analogamente alle azioni che rappresentano, tuttavia, esse convergono da un punto di vista figurativo: i due riquadri contengono, in diversi casi, il medesimo oggetto. Il senso prodotto da tale diplopia è vincolato alle diverse modalità in cui la stessa figura si presenta, alle relazioni e ai contrasti plastici tra le due immagini. Ad esempio, quando Pauwels invoca i “film di memorie”, appare nel riquadro di sinistra una scena di un film d’epoca che viene affiancato alle “memorie di film” ovvero a delle strisce di pellicola che denunciano l’opacità del cinema; poi “vi sono film che agiscono” i quali sono associati al movimento in primo piano di figuranti arborei verticali che si muovono a elevata velocità, i quali sono poi ripresi da lontano nell’immagine a destra, e il film si ritrova non più ad agire stordendo lo sguardo, ma a osservare quietamente un cespuglio scosso in lontananza dal vento. Così, pur trattandosi del doppio della stessa figura, Pauwels dimostra concretamente come il cinema può produrre senso, fuor di narrazione, e agire direttamente sul sistema nervoso dell’osservatore, sulla sua percezione, attraverso differenze di sguardo, montaggio e movimento.

 

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Les films rêvés concilia quanto è inconciliabile nella parola e battezza sensi nuovi attraverso il montaggio e il rimontaggio continuo degli stessi elementi. Il mare, la mela, l’albero, il paradiso, il cane, le farfalle, il viandante, per citarne soltanto alcuni, si possono pensare come mattoni le cui combinazioni possono creare, almeno in potenza, infinite architetture, seguendo però un modello di riferimento preciso: la rete della tela di ragno in costruzione, di colpo disfatta dal gelo dell’inverno e poi ritessuta. Come nell’ars combinatoria, nel moto delle ruote lulliane o nel teatro perduto di Giulio Camillo, i film sognati si montano e si smontano, si combinano e si ricombinano tra loro, istituendo di volta in volta reti inedite di significati, i quali sono già presentati nei primi minuti del film e condensati all’interno di un atlante geografico immaginario chiamato carte imaginaire des territoires des films rêvés.

L’esplorazione dei film sognati è orientata da questo atlante immaginario in cui la disposizione topografica di luoghi e oggetti è legata a intime connessioni, le quali vengono percorse — nel modo dei racconti milesiani — da una figura principale attuata dall’archetipo del viandante che percorre ramingo i luoghi dell’atlante usando come mezzo di trasporto le immagini ricorrenti di ferrovie e orizzonti marini che sperdono lo sguardo al di là del visibile. Il viandante sfugge, trasmigra, fluttua di identità in identità, conserva la sua memoria engrammatica; non importa che le figure in cui si incarna siano viventi, immaginate o davvero esistite. Per citarne alcune, tra queste vi sono: Ulisse, Salah Hachad sopravvissuto per diciotto anni alla colonia penale di Tazmamart in Marocco (luogo peraltro non riportato su alcuna cartina geografica), Magellano e lo schiavo Enrique del quale, pur essendo stato il primo uomo ad aver circumnavigato la terra, non esistono ritratti, e Jean Baret, prima donna ad aver compiuto la medesima impresa, anch’ella dimenticata dalla storia.

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L’anima proteiforme del viandante si insinua nelle pieghe di tempo e lo controeffettua; essa si lascia trasportare dal moto anacronistico del montaggio cinematografico e dalla voce narrante del cineasta, il quale — similmente all’archetipo favoloso del pellegrino cantastorie — ha il potere di rifondare il mondo rimontando insieme le esperienze che ha vissuto e i racconti che ha ascoltato nei suoi viaggi. Tale moltitudine è riflettuta nella forma plurale del titolo del film che ne indica dapprincipio la natura molteplice; quelli sognati sono film che non si succedono secondo una sequenza cronologica lineare, quanto piuttosto si muovono sovrapponendosi, liquefacendosi in una pluralità di forme che fluiscono lungo un tempo singhiozzante, per poi coagularsi, dilacerarsi e affacciarsi a tratti su scorci d’inconscio. Questo movimento — che vedremo è assimilabile a quello degli svoli migratori — è dato anche dal continuo sfogliare carte geografiche (antiche e moderne), cartoline, fotografie e disegni che rimandano ad alcuni aspetti della descrizione che Didi-Huberman fa attraverso Benjamin delle tavole di Blossfeldt; tra questi, il gesto dello sfogliare come “rimontaggio visivo delle cose” e la struttura caleidoscopica: “le forme si susseguono solo per trasformarsi, le morfologie si mostrano, si scompongono solo per metamorfosarsi. Montaggi e rimontaggi sempre rinnovati, in cui ogni metamorfosi avviene in un ‘salto’ (Sprung) da pagina a pagina.”

Ma questi aspetti del tempo e del rimontaggio si manifestano anche per via della natura stessa dell’immagine-movimento: “L’immagine-movimento infatti non riproduce un mondo, ma costituisce un mondo autonomo, fatto di rotture e di sproporzioni, privato di ogni centro, e che come tale si rivolge a uno spettatore che non è più, a sua volta, centro della propria percezione. Il percipiens e il percepi hanno perduto i loro punti di gravità […]: l’aberrazione di movimento propria dell’immagine cinematografica scioglie il tempo da ogni concatenamento.”

Questa descrizione che Gilles Deleuze fornisce dell’immagine-movimento mette in luce alcune caratteristiche potenzialmente affini tra il cinema e la forma atlante, caratteristiche che il cinema commerciale tende a edulcorare applicando conforti per gli occhi, quali, ad esempio, l’illusione di una causalità, di coordinate temporali attendibili e significati confezionati espressi da certe inquadrature e dissolvenze; Les films rêvés lascia che il cinema sia gettato in preda ai propri inciampi spaziali e temporali, alle proprie aberrazioni appunto, le quali si cristallizzano in forme diverse di equilibrio che sono subito ribaltate e rimesse in gioco per costituirne di nuove, proprio come il ragno destinato a ritessere ciclicamente la tela.

A un certo punto, come accade nei sogni, i punti di riferimento — seppur rimangano chiari nella logica interna dell’atlante — si sfacelano e potrebbero dare la falsa impressione di esser gettati in balia di una congerie di verbigerazioni. Lo stesso accade all’imperatore Kublai Khan in Città invisibili di Italo Calvino quando ascolta i racconti di Marco Polo sulle città del suo impero (entrambi i personaggi sono tra l’altro parte dell’atlante de Les films rêvés): “Non sempre le connessioni tra un elemento e l’altro del racconto risultavano evidenti all’imperatore; gli oggetti potevano voler dire cose diverse: un turcasso pieno di frecce indicava ora l’approssimarsi d’una guerra, ora abbondanza di cacciagione, oppure la bottega d’un armaiolo; una clessidra poteva significare il tempo che passa o che è passato, oppure la sabbia, o un’officina in cui si fabbricano clessidre.”

L’imperatore finirà per perdere l’orientamento per eccessivo orientamento, condizione che gli è necessaria affinché comprenda che le città visitate da Marco Polo sono il risultato del rinnovellamento fantasioso degli stessi elementi; perciò, non importa che le immagini-movimento in Les films rêvés siano il frutto della fantasia o della realtà perché, ci ripete più volte Pauwels, sono tutte parte di film sognati. Come l’imperatore che capendo l’arte del racconto inizierà egli stesso a descrivere, per forza di immaginazione, luoghi del suo impero in cui non è mai stato ma di cui Marco Polo conferma l’esistenza purchessia, così anche il fruitore, per forza di immagini, potrà continuare il viaggio attraverso l’atlante dei film sognati. È in quel momento che lo schermo, concrezionato, si fessura, cede, gli trabocca addosso, e soltanto allora il cinema inizia a prendere vita: a piangere, a ridere, a dimenticare, a ricordare. È in questo momento che l’immagine si rivela non soltanto parte di una rete, ma essa stessa rete che fortifica lo sguardo. Scrive Elias Canetti: “Le immagini son reti, quel che vi appare è la pesca che rimane. Qualcosa scivola via e qualcosa va a male, ma uno ci riprova; le reti le portiamo con noi, le gettiamo noi e, via via che pescano, diventano più forti.”

Diventa più chiaro il paradosso per cui les films rêvés mantengano il loro status di “film sognati e mai realizzati” nonostante siano contenuti nell’opera che ne prende il nome. Alla fine del film la voce narrante di Pauwels afferma: “Come nella storia di Ulisse, come in tutte le storie, non si può vivere senza sogni, senza menzogne, senza illusioni.” Dice questo mentre vengono proiettate immagini incantanti di stormi di uccelli migratori che svolano in un profluvio di vaghe coreografie: se nell’incipit tutti gli elementi del film — sviluppati lungo una durata di quasi tre ore — sono condensati in pochi minuti, nella conclusione viene invece liofilizzato e isolato il movimento che li ha animati. È questo movimento — che mi piace chiamare tra me e me atlante-movimento — il principio che attiva i film dell’atlante conservando inalterata la loro potenza di sogno.