1. Soggettività dell’inorganico

La mostra di cere anatomiche provenienti dalla Specola di Firenze, allestita anche a Fondazione Prada tra marzo e luglio 2023, è stata un’occasione per confrontare il proprio sguardo con oggetti nei quali la rappresentazione artistica e medico-scientifica del corpo femminile collassano l’una nell’altra. Si tratta di modelli anatomici settecenteschi estremamente precisi nel riprodurre gli organi interni di un corpo umano, intorno ai quali il “senso di realtà” dei loro artefici vide logico modellare corpi femminili giacenti. Non una presenza neutra ma una rappresentazione che segue forme iconografiche tipiche della rappresentazione di “Veneri” pittoriche e un’espressione facciale fra l’estasi e la sofferenza, vicina a certe sculture barocche. Non si è a conoscenza di analoghe rappresentazioni di corpi maschili, solitamente rappresentati in campo anatomico in posizione verticale, privi di tessuti esterni, e sicuramente senza alcuna caratterizzazione erotica. Ciò che è evidente a un primo sguardo è che alla rappresentazione “scientifica” e “oggettiva” veicolata dagli artefici di queste cere si accompagna una plateale erotizzazione del corpo femminile. Fondazione Prada ha presentato l’allestimento attraverso la più distaccata descrizione medico-scientifica: se da un lato questa scelta ha contribuito a far riflettere sullo sfasamento di senso che accompagna quelle opere, dall’altro il pubblico meno preparato è stato lasciato un po’ a sé stesso in un senso di mistero elegante e un po’ macabro. Queste opere evocano ben altri fantasmi dell’immaginario, rispetto ai quali fornire gli strumenti per una comprensione che partendo dall’osservazione del piano estetico muova allo storico e al sociale sarebbe senza dubbio una buona cosa.

Nel suo saggio Aprire Venere, Georges Didi-Huberman scrive in questi termini: “Tutto qui ci parla di limiti trasgrediti. E forse qui la Verità – anatomica – trionfa su ogni Venere ideale. Ma questo trionfo non è semplice, ha una tonalità, un valore di esposizione piuttosto inatteso: non positivo, bensì reso inquieto dal riferimento al corpo del desiderio. La Venere dei medici resta un’immagine, quasi un giocattolo per uomini di scienza”, in una condizione di “gioco lugubre, [che] trasforma ambiguamente la verità anatomica in un fantasma perverso”. Il fantasma evocato da Didi-Huberman non è altro che quello del potere storicamente istituzionalizzato sul corpo (ed in generale sul genere) femminile. Come poterne avere la meglio, almeno sul piano dello sguardo?

Proprio qui si dispiega l’intervento di David Cronenberg, attraverso il cortometraggio Four Unloved Women, Adrift on a Purposeless Sea, Experience the Ecstasy of Dissection. Il regista non può fare altro che prendere atto di quel male gaze, inevitabile in sé stesso oltre che nella cultura che ha plasmato quelle sculture e servirsene come di un “veicolo” del quale mettersi alla guida, portandolo in pochi secondi ad un crash inevitabile. Le “donne non amate” (inorganiche e materiali) galleggiano su un immateriale mare digitale, i loro cuscini diventano materassini rosa. La cinepresa segue le curve della pelle di cera sfociando presto nell’inner space (per dirla con Ballard, autore caro a Cronenberg) degli organi interni che riempiono lo schermo, disinnescando ogni possibile forma di rappresentazione erotica. Entrare in uno sguardo per smentirlo immediatamente, cercando di ristabilire un’ecologia dello sguardo rispetto a questi corpi inorganici, nati come oggetto osservato, da osservare. Le riprese non giocano sul macabro, come sarebbe stato facile fare, ma piuttosto sull’informe, su di una bellezza priva di genere raggiunta nel dettaglio anatomico, a cui fa prendere il sopravvento rispetto all’esterno modellato ad immagine di un corpo canonico ed ideale. Il genere neutro degli organi interni che prende il sopravvento su ogni fantasia di Veneri plasmate a consumo di sguardi maschili. Da lì in poi, fatta piazza pulita di quello sguardo, Cronenberg può partire nello sviluppare le sue riflessioni relative alla rimozione del dolore e della sensazione, centrali in Crimes of the Future. Così, attraverso la dissezione e ricomposizione operata dal montaggio, le Veneri non amate si riprendono finalmente il ruolo di soggetto del proprio piacere. [Carlo Caccamo]

2. Fantasie sotto la superficie

In Four Unloved Women, Adrift on a Purposeless Sea, Experience the Ecstasy of Dissection, quattro Veneri della Specola di Firenze giacciono su materassini galleggianti con lo sguardo languido, le labbra socchiuse, i capelli sciolti o uniti in una treccia, le mani serrate e le gambe divaricate sulla mussola che le avvolge. La macchina da presa registra da vicino tutti questi particolari, realizzando una prima dissezione dei loro corpi, cullati dalle lievi onde di una piscina immaginaria.

Ad impreziosire il tappeto sonoro della scena, oltre al garrito lontano dei gabbiani, al leggero crepitio dell’acqua, e al dondolio dei lettini, interviene un elemento inedito, ovvero la graduale propagazione – in uno spazio di per sé artificiale ed asettico – di sussulti e gemiti femminili: e così il rapimento estatico delle donne, preannunciato dalle espressioni di godimento fissate sui loro volti, viene confermato dal dato acustico.

La procedura di smembramento visuale delle quattro cere viene tuttavia portata a termine soltanto attraverso il montaggio, che – facendo ampio uso di dissolvenze – si rende a tutti gli effetti artefice di un intervento chirurgico: l’apertura dei busti delle figure consente infatti di svelarne progressivamente i vasi sanguigni, le terminazioni nervose, gli organi interni. Più la cinepresa si addentra nei corpi di cera, più le grida di piacere si succedono a distanza ravvicinata.

Se in ambito scientifico tali cavità rimovibili sono state a lungo sfruttate come oggetto di studio, nel cortometraggio di Cronenberg esse vengono dunque investite di un’insolita carica erotica, e così la graduale espansione dello sguardo cronenberghiano nelle profondità dei corpi femminili può essere accostata all’eccitazione e alla penetrazione sessuale, consolidando la possibilità di varcare e superare i limiti della fisicità umana grazie al mezzo cinematografico.

Il gusto del frazionamento, della deformazione e della distruzione carnali, è ritenuto una costante del cinema dell’orrore, in cui le varie parti anatomiche acquistano tratti spesso anomali e sconvolgenti, e il concetto di unità è messo costantemente a rischio. In particolare, il body horror, genere di cui Cronenberg è considerato padre fondatore, si concentra ossessivamente sul corpo umano e sull’eccesso dei suoi comportamenti biologici e passionali. Nella filmografia cronerberghiana la riflessione sulle mutazioni corporee viene infatti portata alle estreme conseguenze, con l’intento programmatico di elaborare una “poetica del difforme”: si pensi all’inoculazione di un parassita nell’organismo di Annabelle in Shivers (1975), allo sviluppo – sotto l’ascella di Rose – di una protuberanza affamata di carne umana in Rabid (1977), alla crescita di una sacca amniotica esterna dalla quale Nola partorisce bambini deformi in The Brood (1979), e infine alla trasformazione di Seth Brundle in un ripugnante uomo-insetto ne The Fly (1986).

Nei primi tre film Cronenberg mette in scena gli esperimenti di uno scienziato pazzo a danno del proprio paziente, il cui corpo malato diviene incubatore di virus e origine di pandemie, e più in generale strumento d’indagine delle innumerevoli perversioni umane. I mad doctors cronerberghiani sono dapprima persuasi della bontà delle loro iniziative, escogitate per migliorare il funzionamento dell’organismo umano, e poi – a fronte della catastrofe virale imminente – sono costretti ad ammettere la fallibilità del loro progetto. Una conclusione altrettanto tragica segna la vita privata, oltre che professionale, di Brundle, il quale tuttavia riunisce in se stesso i ruoli di studioso e cavia delle proprie sperimentazioni, precipitando inconsapevolmente in un’inquietante spirale di autodistruzione.

Le prime produzioni del regista canadese lasciano trapelare l’ipotesi di una dicotomia tra metodo scientifico e indole creativa, e quindi tra razionalità e istintività, attraverso il mero abbozzo dei medici protagonisti nei panni di geni incompresi. Tale concezione dello scienziato come moderna evoluzione della personalità dell’artista viene ovviamente approfondita in Dead Ringers (1988), in cui i gemelli omozigoti Elliot e Beverly Mantle, ginecologi di fama internazionale, contraggono una vera e propria ossessione per l’esplorazione della bellezza interiore delle proprie pazienti, specie dopo l’incontro con l’attrice Claire Niveau, dotata di un utero triforcuto. Nell’immaginario di Cronenberg i medici possiedono dunque un dono straordinario, paragonabile al talento artistico, che permette loro di cogliere il bello nei luoghi più impensati, ovvero nell’alterità e nella difformità fisica, e di scavare sotto le superfici somatiche per sviluppare nuove intriganti fantasie erotiche.

Se in Dead Ringers le operazioni chirurgiche compiute dai gemelli Mantle non vengono mai mostrate in maniera esplicita o plateale, nel recente Crimes of the Future (2022) le performance di Caprice e Saul Tenser vengono presentate nei minimi dettagli. Le esibizioni dei due performer sono architettate appositamente per un pubblico pagante, che assiste voyeuristicamente all’asportazione delle viscere dello stesso Tenser senza l’ausilio dell’anestesia, in un futuro prossimo in cui i principi fondamentali della scienza sono stati completamente stravolti. In questo caso il valore artistico dell’intervento non viene soltanto suggerito, ma viene definito tale dalla società: in un’umanità in cui le infezioni e il dolore fisico non esistono più a causa di una serie di misteriosi cambiamenti biologici, i tagli sulla pelle cessano di provocare scalpore e vengono percepiti come un’esibizione artistica, ma anche come una stuzzicante fonte di attrazione erotica, e così la chirurgia diventa il “nuovo sesso”.

L’insoddisfazione sessuale dei personaggi cronerberghiani conduce inevitabilmente alla ricerca di nuove forme di appagamento del desiderio, siano esse derivate dalla fascinazione per l’interno dei corpi, come nei già citati Dead Ringers e Crimes of the Future, siano esse alimentate dal brivido dello schianto automobilistico, come in Crash (1996), o dall’annullamento dei confini tra realtà e illusione, come in eXistenZ (1999). In questi due ultimi titoli il tema della morte assume una nuova centralità: da una parte l’aspettativa di piacere si trasferisce dalle “vecchie” modalità sessuali, ormai praticate meccanicamente e private di qualsiasi coinvolgimento emotivo, al brivido dell’incidente mortale, immaginato e ricercato ossessivamente; dall’altra parte la morte non corrisponde più al concetto di fine, di spegnimento delle proprietà fisiche e intellettuali dell’uomo, poiché per i personaggi, catapultati in un mondo fittizio (eppure spaventosamente simile alla vita reale), la morte costituisce soltanto una delle possibili opzioni di una dimensione ludica, quando non propriamente di un videogioco. Non è un caso, dunque, che si sia spesso fatto riferimento al cinema di Cronenberg come ad un percorso di progressivo “avvicinamento allo shock della morte”.

Torna infine il discorso su Four Unloved Women, dove al contrario la morte non è affatto contemplata, trattandosi di un corto che ritrae quattro cere immobili, con il corpo cristallizzato nell’istante del raggiungimento dell’orgasmo. In Crash, Vaughan sostiene che per provare il piacere sia necessario rappresentarlo, metterlo in scena, e forse è questo l’obiettivo che Cronenberg si è prefissato quando ha cominciato a fare film, fino a meditare il cortometraggio per Fondazione Prada: catturare l’essenza del piacere attraverso la rappresentazione cinematografica. [Camilla Fragasso]