Kissing Gorbaciov, documentario di Paco Mariani e Luigi D’Alife presentato con successo in anteprima mondiale al sessantaquattresimo Festival dei Popoli, gli autori si sono avventurati nell’impresa di raccontare uno degli episodi più improbabili della storia della musica italiana: nel 1988 a Melpignano (Lecce) la Giunta comunista appoggiò la realizzazione del festival “Le idi di marzo”, che aveva come obiettivo ospitare in Italia per la prima volta artisti sovietici e altre band della scena punk e rock italiana, per poi dirigersi a Mosca. Un follia: il muro era inespugnabile, la divisione tra est e ovest invalicabile, i due mondi non dovevano entrare in contatto. Eppure stava cambiando tutto: “Il presidente Michail Gorbaciov ha letto il vostro progetto e intende finanziarlo”. Il resto è storia: lo scambio avvenne, i due mondi collisero e l’Unione Sovietica si sgretolò sotto gli occhi dei protagonisti di quel viaggio. Con essa implosero anche i CCCP – Fedeli alla linea, quei quattro emiliani punk-filosovietici nati artisticamente a Berlino con la promessa di suonare insieme fino a quando non lo avessero fatto a Mosca.

Una storia incredibile che ha posto immediatamente un grande problema narrativo al film: l’assenza di materiale video che la raccontava. Stava viaggiando nel tempo, rarefacendosi, per via orale: lo stesso Mariani ne è venuto a conoscenza per un racconto casuale proprio a Melpignano, durante la proiezione di un altro film. Un racconto orale che doveva trovare una sua forma filmica. Nelle parole del montatore Roberto Zinzi: “All’inizio c’era così poco materiale che una prima versione del film era un mockumentary, con questo gruppo di documentaristi che cercava di capire se era successo davvero oppure no”. Kissing Gorbaciov è nato perciò in assenza di prove di ciò che era accaduto:, la forma paradossalmente più efficace da scegliere era quella del cinema che si prende gioco di sé e del reale stesso. 

I materiali e i repertori d’archivio, tuttavia, sono poi emersi: Mariani e D’Alife sono riusciti a provocare un reale che fino a quel momento non aveva risposto e hanno sollecitato l’emersione della sua memoria audiovisuale. Annarella e Massimo Zamboni (CCCP) hanno riesumato un archivio fino a quel momento del tutto privato, AAMOD – (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) ha fornito immagini dell’epoca straordinarie, i protagonisti di quegli eventi dell’88-89 si sono resi disponibili per le interviste: il corpus visuale ha preso forma. Nonostante questa svolta, D’Alife e Mariani hanno fatto la scelta più interessante cinematograficamente: hanno mantenuto parte degli elementi del mockumentary, sfruttandoli per rafforzare il tono di incredulità e assurdità che permea tutto il documentario, ossatura fondamentale che caratterizza quello che altrimenti sarebbe stato un documentario musicale convenzionalmente inteso. Il girato di finzione conferisce toni grotteschi andando ad affiancare le testimonianze e i materiali d’archivio e costruendo un risultato finale divertente e coinvolgente, che non si prende eccessivamente sul serio, esattamente come chi quarant’anni fa c’era ed è stato motore dell’impresa.

Di fronte al successo del film durante il festival, la formulazione più efficace per descrivere ciò che è accaduto potrebbe essere quella data dai CCCP in “Emilia Paranoica”: “Teatri vuoti e inutili potrebbero affollarsi, se tu ti proponessi di recitare te”. L’unico modo per raccontare quegli eventi è stato accoglierli con tutta la loro complessità e ambiguità e raccontarli con totale onestà: niente mitizzazioni, ma l’epica moderata dall’assurdità e l’incoscienza che permeava tutto.

Il documentario di D’Alife e Mariani ha avuto la capacità e la fortuna di agganciarsi a una storia che aspettava di essere raccontata e che aveva già un suo pubblico che non desiderava altro che sentirsela raccontare. Ne è prova l’effetto detonatore che ha avuto: il riavvicinamento degli elementi dei CCCP, la mostra “Felicitazioni!” a Reggio Emilia – anch’essa con un’affluenza molto alta –, il Gran Gala Punkettone, Danni Collaterali, e poi il concerto di Berlino, sold out in due minuti su tutte le piattaforme.

Kissing Gorbaciov è uno di quei film che ha trovato l’alchimia esatta tra il provocare il reale per realizzare il film e diventare esso stesso agente di trasformazione del mondo. Un’alchimia che deve molto al lavoro cinematografico dei registi, ma che non può prescindere da un agglomerato di condizioni esterne imprevedibili, impreviste, forse irripetibili.