Il cinema è in continuo cambiamento e, oggi, è ancora più affascinante osservare i suoi mutamenti, i suoi proclami e i suoi percorsi: dalla finzione al documentario, dal personale al collettivo, dalla poesia alla politica. È un periodo estremamente stimolante per il cinema d’autore. Un’affermazione del genere può sembrare paradossale, a fronte della crisi che ha riguardato il cinema nella sua totalità durante gli ultimi tempi: il progressivo scomparire dei sistemi tradizionali di finanziamento, la sfiducia da parte dei canali televisivi nel partecipare economicamente a progetti originali, il sempre più evidente disinteresse da parte del pubblico nel frequentare le sale, i problemi del cinema d’autore in termini di programmazione e distribuzione in numerosi Paesi del mondo.

Alcuni giovani filmmaker si sforzano di trovare il proprio posto all’interno del sistema e di adattarsi ad esso, altri optano per una rottura radicale e si impegnano – per scelta, o perché non ne hanno alcuna – in quello che qualcuno ha definito “cinema di guerriglia”.
Gli anni Novanta hanno visto emergere numerosi registi stimolanti da ogni parte del mondo, in sintonia con i nuovi metodi di pensare, fare e mostrare i film. Oggi più che mai, tali istanze hanno luogo in quegli osservatori privilegiati del cinema contemporaneo che sono i festival – o almeno quei pochi che ancora manifestano l’intenzione di sondare le nuove direzioni e scoprire giovani autori e che preferiscono imporre stili e tendenze piuttosto che limitarsi a seguirle. Come il Locarno Film Festival, per intenderci!

I direttori e i programmatori dei festival sono diventati, più dei critici e dei giornalisti, compagni di lotta di questi giovani filmmaker, con le loro forti personalità, si tratti di leader o solitari, i cui film circolano come fossero parole d’ordine ma il cui talento ha poco o niente della presunzione e dei cliché spesso associati al cinema d’arte. La questione riguarda precisamente il fare i conti con la storia del cinema nel ventesimo secolo e riflettere sulle trasformazioni occorse nell’ultimo decennio su tanti fronti, dalla realizzazione alla distribuzione. Questi registi sono numerosi e in tanti possiedono talento. Quelli baciati dal genio sono pochi, ma ci sono. Il grande pubblico ancora non li conosce e forse non li conoscerà mai, i loro film sono celebrati dalla critica – spesso più all’estero che a casa loro – e rappresentano il futuro del cinema d’autore nella sua definizione più sincera, coraggiosa, creativa e poetica. Il loro operato è eccitante e giustifica di per sé il protrarsi dell’interesse nei confronti del cinema come arte viva e contemporanea, non una mera reminiscenza del secolo passato. I loro film sono estremamente diversi gli uni dagli altri, ma è possibile rilevare somiglianze: l’utilizzo di attori non professionisti, un approccio lirico alla realtà, le riprese on location, la vicinanza alla natura o ad ambienti familiari, il gusto della sperimentazione, lo scetticismo nei confronti dei generi codificati (documentario compreso, sempre che esista come tale…). E soprattutto una passione nei confronti del cinema tale da implicare che ogni principio del regista possa venire messo in discussione o contraddetto con il film successivo.

Spesso questi registi sono anche i produttori dei propri film o intrattengono con il produttore una relazione – sempre più rara – basata sulla fiducia, la lealtà e la complicità. Se i budget ridotti vengono spesso sentiti come una costrizione, sono anche e soprattutto il prezzo da pagare per perseguire una visione del cinema coraggiosa e meritoria, e potrebbero costituire la via privilegiata a condizioni di lavoro in cui il tempo, l’amicizia, la libertà, la riflessione e l’improvvisazione saranno un lusso e un valore più prezioso del denaro. Se dobbiamo fare dei nomi, sono quelli di Albert Serra (Spagna), Lisandro Alonso (Argentina), Miguel Gomes (Portogallo), Raya Martin (Filippine), Denis Côté (Canada) e Rabah Ameur-Zaïmeche (Francia) tra i tanti, rappresentanti emblematici di quel cinema di guerriglia che ha per ciascuno di loro e in ciascun Paese un significato diverso. Negli Usa due anticonformisti come Vincent Gallo e Harmony Korine (il primo in solitudine e segretezza, l’altro con il suo team a Nashville), ma negli ultimi tempi abbiamo assistito all’emergere di una nuova scena indie americana, i cui rappresentanti più noti in Europa, grazie al palcoscenico della Quinzaine des Realisateurs di Cannes, sono i fratelli Josh e Benny Safdie.

Ho sentito per la prima volta l’espressione “guerrilla cinema” durante la conferenza stampa tenuta da Bruce LaBruce a Locarno nel 2010. Ciò mi ha spinto ad associare l’idea a quegli autori che, seppur meno provocatori, lavorano in condizioni simili e rifiutano l’ingombrante complessità e lentezza nelle proprie realizzazioni. L.A. Zombie di Bruce LaBruce uscirà in Francia a dicembre; in questi giorni è uscito Curling di  Denis Côté (Miglior regista e Miglior attore al festival di Locarno del 2010), distribuito da Capricci. L’ultimo, allucinato film di Raya Martin, Good Morning, España è stato mostrato fuori concorso all’ultimo Festival di Locarno, Les Chants de Mandrin di Rabah Abeur-Zaïmeche, anch’esso in anteprima mondiale in concorso a Locarno, uscirà l’anno prossimo.

Sono segni incoraggianti e ci dicono che la comunità è in crescita. Ai nomi ben noti di questi registi si sono uniti quest’anno quelli di alcuni nuovi arrivati di cui si sentirà molto parlare quando il loro (primo o secondo) film verrà distribuito nelle sale e negli anni a seguire se saranno capaci di proseguire la loro carriera. Sono stati tutti scoperti dal Festival di Locarno e in seguito invitati in numerosi festival internazionali: la francese Valérie Massadian (Nana, Miglior opera prima), il giapponese Terutarô Osanaï (Saudade, nel concorso internazionale), lo statunitense Alex Ross Perry (The Color Wheel, nella sezione Cineasti del presente) e l’italiano Alessandro Comodin (vincitore del Pardo d’oro per i Cineasti del presente con L’estate di Giacomo), solo per citare alcune delle rivelazioni più significative della 64eseima edizione.

Tutti nomi dei quali si parlerà ancora.

* Olivier Père è direttore artistico del Festival del film Locarno.

(originariamente pubblicato sul blog di Olivier Père; traduzione di Alessandro Stellino)