Verrebbe la tentazione di analizzare lo stato della critica italiana nei confronti della produzione cinematografica interna attraverso il caso emblematico della partecipazione al Festival di Cannes dell'opera seconda di Alice Rohrwacher. Le meraviglie è stata una delle rare sorprese riservate dal programma della sessantasettesima edizione: potremmo dire che è stato pescato nel mucchio dei “nuovi nomi” che si stanno imponendo nel campo del cinema d'autore internazionale e messo sul piedistallo del concorso cinematografico più prestigioso al mondo. Una bella occasione non solo per l'autrice, ma anche per dare visibilità al lavoro di una società di produzione, Tempesta, che persegue una politica volta alle coproduzioni e aperta a sostenere film di registi fuori dal coro (penso al documentarista Leonardo di Costanzo, che ha firmato tra le più importanti opere del nuovo cinema italiano) e di giovani autori (non solo Rohrwacher, ma anche Paolo Tripodi e Marcello Fonte con Asino vola, e i progetti in sviluppo di Caterina Carone e Irene Dionisio). La scelta ha scatenato reazioni opposte: dal sostegno per una volta piuttosto uniforme ma, va detto, assai monocorde della stampa scritta, fino all'indignazione della critica web, che ormai – anche fuori dai social – sta assumendo il compito di innescare sterili polemiche o fornire giudizi sbrigativi, più che aprire letture e individuare percorsi.

Accantonata per il momento questa riflessione, che merita approfondimento in altra sede, passiamo a formulare qualche impressione su Le meraviglie, prosecuzione del percorso intrapreso dalla regista con Corpo celeste nel 2011. Ancora una volta, al centro, è la storia di un'adolescente, anzi una pre-adolescente, la dolce Gelsomina che nel candore dei suoi quattordici anni inizia a cogliere il mondo fuori (o meglio aldilà) del grande racconto che traccia una famiglia. La sua ha una composizione particolare: un padre tedesco, una madre italiana, tre sorelline più piccole, una zia tedesca che va e viene. Tutti riuniti in un casolare di campagna, in cui Wolfgang coinvolge “le sue donne” nella produzione di miele artigianale. Le novità dell'estate sono legate a due eventi eccezionali nella tranquillità della campagna: uno riguarda l'arrivo di un ragazzino in affido nel gineceo delle sorrelline, l'altra la presenza sul territorio di una trasmissione televisiva "Il paese delle meraviglie" che mette in palio una ricca ricompensa per chi dimostrerà di produrre i tesori più preziosi.

Presentato dalla regista stessa come un film personale, ma non autobiografico, Le meraviglie assume il tono sognante e melanconico del ricordo, riconnettendoci agli anni Novanta e alle fratture della società in un'epoca di benessere che già manifestava le prime avvisaglie della crisi. Un presagio funesto segna fin dall'inizio il film: un'auto che attraversa i campi di notte, i latrati dei cani, le armi. Fuori continua la guerra, mentre in casa si cercano di “far funzionare” le cose, almeno quelle più piccole che riguardano la quotidianità, visto che ogni altra cosa è fallita. Di questo fallimento c'è una traccia chiara nel film: non tanto nell'arrivo improvviso di un amico paterno che colloca il padre in altri contesti (rivoluzionari), ma soprattutto nella scelta del deserto che sembra circondare la famiglia. La campagna brulla, priva dell'allure bucolico con il quale l'ha circondata tanto cinema medio, le poche case isolate in cui i diversi nuclei familiari si scontrano più che incontrarsi, l'invisibilità dei paesi e dei luoghi pubblici, sostituiti in toto dallo spettacolo. Non solo quello (centrale nel film) della televisione, ma anche quello della fiera in cui iniziare a mettersi in mostra e, non a caso, diffondere il verbo della tv commerciale.

Paradossalmente, Gelsomina conosce quel linguaggio, inviso dalla famiglia eppure così seduttivo e ammiccante da insinuarsi nelle menti di tutti: se la sua vita è fatta di piccoli e meravigliosi prodigi (la luce che fa bere a sua sorella), è anche già consapevole dei “comandamenti” di una famiglia (l'autoritarismo del padre di cui è vittima e finisce spesso per replicare) e vive di evasioni che arrivano dal mondo del commercio. Quale bambina cresciuta negli anni Novanta non conosce il balletto legato a “Giuro” di Ambra Angiolini? Nessuna famiglia è riuscita a tenere al riparo dal tornado Finivest i propri figli, ma sono i ragazzi stessi a produrre gli anticorpi nei confronti di questo mondo. Gelsomina ha un potere più grande, perché conosce la lingua della natura, quella che la fa entrare in contatto con le api, nello splendido prodigio che rompe i tempi serrati e i costumi condivisi della televisione.

A questo potere segreto mi sembra dedicata l'opera seconda di Alice Rohrwacher, capace di credere ancora che il cinema permetta di levare dei veli e scoprire sempre più profondamente il mondo: quello che c'è dietro la maschera della bella Fata Turchina, interpretata con delicata compiacenza da Monica Bellucci, ma anche ciò che si nasconde nel volto immobile di un padre, che sarà sempre altro da noi stessi. E quel giro di macchina che sembra non volersi fermare, libera i desideri di chi ha saputo conservare l'infanzia nel proprio sguardo (la caverna) e sa che non la metterà al riparo dal vedere con ancora maggiore lucidità il presente (il casolare ormai abbandonato).

LE MERAVIGLIE, regia di Alice Rohrwacher, Italia/Svizzera/Germania, 2014, 110'