Per i sette fratelli Angulo, sei maschi adolescenti e una bambina di madre statunitense e padre inca peruviano, la vita a New York si è svolta per oltre quattordici anni entro la gabbia di un esilio domestico forzato. Istruiti tra le mura del loro appartamento, impossibilitati a uscirne se non per una manciata di occasioni all’anno, spesso intervallate da mesi e mesi di attesa, i ragazzi sono riusciti a entrare in contatto con il mondo esterno attraverso i soli cult della loro videoteca. Attingendo ai cardini della popular culture che il cinema degli ultimi anni, da Le iene di Quentin Tarantino ai Batman di Christopher Nolan, ha saputo alimentare, i fratelli sono sopravvissuti alla loro – potenzialmente insostenibile – clausura grazie alla sconfinata creatività di classifiche e remake fatti in casa, con allestimenti e costumi di recupero, nel sereno desiderio di fabbricare della loro esperienza un’ulteriore testimonianza filmica.

Partendo da queste inedite premesse e dai materiali audiovisivi che la vita dei ragazzi andava via via producendo, quasi nel nome di una reinvenzione incessante del microcosmo domestico, la regista Crystal Moselle ha deciso di articolare il proprio documentario entro le forme di un’incursione socratica nel loro quotidiano: The Wolfpack alterna alle interviste ai fratelli l’immaginario che i loro video lasciano deflagrare, indaga senza sosta l’ordito di un assurdo compromesso con le urgenze della libertà, prima accogliendo il punto di vista dei protagonisti, poi assecondando lo sfogo della loro autodeterminazione. In questa caverna platonica fatta di supereroi e pistole di cartapesta, è la figura del padre Oscar, impassibile divinità di silenzio e alcolismo, a incarnare il principio di autonomia dal resto del mondo, nella precisa convinzione che la società al di fuori della casa sia soltanto fonte di contaminazione per la crescita dei suoi figli. Sarà la madre, con tutti i nodi di un amorevole assoggettamento verso il marito, ad affiancare i ragazzi nella scoperta della realtà esterna, in una progressiva fuoriuscita dal guscio che, inevitabilmente, ha il sapore di una palingenesi. Così se a Coney Island, con involontario ammiccamento allo stupore de Il piccolo fuggitivo, i fratelli Angulo quasi faticano a varcare il confine simbolico dell’acqua e a donarsi un bagno nell’oceano, la loro identità di branco e il reciproco affetto non saranno mai messi in discussione dall’esperienza del mondo: occhiali da sole neri, cravattino stretto al collo, capelli prima tutti lunghi, poi tutti tagliati, la loro rinnovata speranza per il futuro sempre si modellerà sull’attaccamento all’identità familiare, come in un piccolo miracolo di equilibrio nei confronti del passato, refrattario al rancore.

The Wolfpack non cerca mediazioni stilistiche nei confronti del soggetto, privilegiando a un’importuna rielaborazione visiva le istanze del racconto e dei suoi personaggi: a imporsi è il primato fotogenico dei volti, dei sentimenti che serpeggiano ad ogni sosta del pensiero, a fronte di un linguaggio medio, fatto di onestà e rispetto, secondo un assemblaggio filmico di umane incertezze e umanissimi tentativi. Il risultato è la testimonianza di un doppio processo in atto: quello dei fratelli Angulo che scoprono New York e implicitamente il mondo da una parte; dall’altra la caduta simbolica delle fortificazioni che tutti noi innalziamo per proteggerci dalla realtà. La vita comincia davvero quando è esposta.

The Wolfpack è, infine, anche un elogio della cinefilia: sia più o meno popolare nel caso dei giovani protagonisti del film, la passione per il cinema tuttavia non coincide mai per un istante con la loro salvezza. Piuttosto, è uno degli strumenti possibili per agevolare l’uscita dalle cornici, eternamente ‘penultimativo’ rispetto all’attraversare un meleto in autunno, staccare un frutto da un albero e addentarlo col sole in faccia. Una lezione sottile: i film ci traghettano da uno stato emotivo al successivo, connettendoci con la parte di noi che davvero sta cambiando. Non è un caso che, dopo tanti omaggi domestici ai propri miti cinematografici, il primo film della loro nuova vita, quello con cui si chiude il documentario, sia completamente originale. E bellissimo.

THE WOLFPACK, regia di Crystal Moselle, USA, 2015, 90′. In sala da 22 ottobre 2016 (Wanted).