Younghee è una bella attrice sudcoreana di successo che, a seguito di uno scandalo sentimentale – una relazione con un uomo sposato, un regista – si trasferisce qualche per tempo ad Amburgo, prima di ritornare in patria. Mentre è nella cittadina tedesca, trova che gli uomini locali siano diversi dai connazionali: “Gli uomini qui sono gentili”, dice alla sua amica. Tornata in Corea, chiacchierando in un contesto conviviale, sembra ricredersi: ha incontrato uomini certamente affascinanti, dai corpi attraenti, ma “dentro, gli uomini sono tutti uguali”, spiega. Nel film precedente di Hong Sangsoo, Yourself and Yours, la protagonista aveva, o più probabilmente millantava di avere, una gemella, uguale a lei esteriormente ma profondamente diversa interiormente. E questo penultimo film si rifaceva esplicitamente al buñueliano Quell’oscuro oggetto del desiderio, dove la protagonista Conchita assume le sembianze di due attrici diverse nel corso del film. Diversi ma uguali, uguali ma diversi: è la concezione che guida il rapporto tra i sessi, da sempre fulcro ossessivo del cinema di Hong Sangsoo, che prosegue nella reiterazione affannosa – il regista sforna film al ritmo di un Fassbinder – di storie tra loro molto simili, legate da simmetrie con variazioni, spesso anche due o più storie nello stesso film, come nel caso dei lavori precedenti Right Now, Wrong Then, vincitore a Locarno, e The Day He Arrives.

Il cinema di Hong Sangsoo è un cinema di simmetrie imperfette, di spirali escheriane che si inseguono senza mai combaciare. Laddove la specularità cardine è di norma quella tra l’uomo e la donna, essa viene infranta in On the Beach at Night Alone dal bacio e dalle effusioni lesbiche di Younghee con un’amica. Le simmetrie diventano allora sono quelle tra le due parti del film: la prima con la fuga ad Amburgo, la seconda ambientata nella piccola città di mare sudcoreana di Gangneung, dove tornano gli stessi dialoghi e situazioni, tra cui le valutazioni di cui sopra sugli uomini tedeschi. La più marcata specularità è, però, quella tra cinema e vita, come sempre del resto nel regista, qui di evidenza macroscopica, dal momento che il film ripercorre la vera storia d’amore di Hong Sangsoo con l’attrice protagonista Kim Minhee. Ma piccoli spostamenti finiscono per eludere le coincidenze cercate, spostamenti declinati al maschile e femminile. Se Kim Minhee interpreta se stessa, con un nome diverso, quello di Younghee, la figura del regista non è perfettamente identificabile con Hong Sangsoo. Lei ne disegna il volto con un bastoncino sulla spiaggia, raffigurandolo con i capelli corti e Hong in effetti, rispetto all’ultima sua apparizione a un festival europeo, a Berlino sfoggiava una chioma per luiinsolitamente ristretta. Ma il regista che si vede poi nel film è decisamente più vecchio di Hong Sangsoo. Dice di voler fare un film su una donna che ha amato, vero, inseguendo storie personali che gli vengono contestate come noiose, ma insiste nel dire: dipende da come vengono fatte. In precedenza si diceva che questa crisi aveva determinato una stasi nel lavoro del regista, cosa che non parrebbe combaciare con la situazione di Hong Sangsoo e con la sua imperterrita prolificità di opere.

Una simmetria mancata è anche con il verso di Walt Whitman che dà il titolo al film, perché le situazioni su una spiaggia, dove Younghee si trova sola, non avvengono mai di notte. Sono tre le scene in spiaggia del film, ognuna delle quali rappresenta un segno che rimanda al precedente. La prima conclude la parte ambientata ad Amburgo, mentre tra la seconda e la terza, in Sud Corea, si iscrive la parte onirica, o quella che viene suggerita come tale. Younghee si addormenta e viene risvegliata da un aiuto regista che la conduce a una delle classiche tavolate conviviali coreane dove l’alcol scorre a fiumi e Hong Sangsoo snoda le proprie narrazioni. In questo momento, e per di più ubriaca, l’attrice sfoggia la sua grinta femminista, rinfacciando agli uomini di non essere qualificati per amare, di essere tutti degli idioti, dopo che le era stato fatto notare che dovrebbe mettere al mondo un bambino prima che sia troppo tardi, secondo una concezione patriarcale ben lungi dal morire. Torna la sequenza di Younghee che dorme sulla spiaggia, che viene ancora risvegliata. Rispetto al risveglio precedente, all’inquadratura di lei rivolta verso l’infinito contemplativo dell’oceano, non corrisponde più il controcampo che torna sulla terraferma, dove era iniziata la situazione da sogno.

Parliamo di un regista che lavora con pochi e centellinati movimenti di macchina, spesso fittizi attraverso le zoomate, di una rarefazione cinematografica estrema, di una “pigrizia” dello sguardo che si sposta solo quando è strettamente necessario. E che ora lascia fuoricampo la figura della persona che sveglia la protagonista. Sarà sempre l’aiuto regista? Oppure ancora una delle figure maschili che l’occhio del regista ha lasciato sfumate, il ragazzo nel parco di Amburgo, l’uomo che si staglia sul balcone proteso verso il mare dell’albergo di Gangneung? Figure enigmatiche, fantasmatiche, forse ulteriori manifestazioni del regista stesso. Ora Younghee potrebbe vedere in volto l’uomo che l’ha svegliata, potrebbe rientrare, attraverso un controcampo sulla terraferma, nel circolo vizioso delle infinite possibili storie, delle infinite divaricazioni narrative del cinema di Hong Sangsoo. Ma non lo fa e se ne va, guardando sempre all’oceano e all’orizzonte.