Il secondo lungometraggio di Fulvio Risuleo parte da una vicenda bizzarra che pone al centro Ugo, l’elegante bulldog francese di una ricca signora, e si dirama poi attraverso diversi punti di vista: quello di Rana e Marti, due giovani ragazze pronte ogni volta a reinventarsi per riuscire a pagare l’affitto mensile, e quello di Orazio, che a un primo sguardo sembra presentarsi come l’antagonista della vicenda. Liberatosi rapidamente dal velo delle apparenze iniziali, il film si rivela tuttavia molto diverso da quel che sembra: Il colpo del cane è un’opera che si regge interamente su un intreccio che, avvicinando percorsi di personaggi apparentemente lontani fra di loro, trova nel loro improbabile avvicendarsi un’atmosfera di spiazzamento e sospensione.

La struttura scandita in due parti rompe l’ordine canonico degli eventi per dirigersi verso l’approfondimento psicologico ed emotivo dei protagonisti. Un inizio chiaro: le affiatatissime Rana e Marti si improvvisano dogsitter per due giorni, quarantotto ore che però si trasformano presto in una paradossale caccia a Orazio, il ladro del piccolo e prezioso bulldog francese. Nel momento in cui la prospettiva si sposta ed entra in scena la vita di Orazio, uno sguardo più intimo sulla sua quotidianità e le sue attitudini è sufficiente a far svanire ogni consuetudinaria dicotomia buono/cattivo o giusto/ingiusto. Ed è qui che risiede la capacità del regista di raccontare una storia senza anteporre giudizi e preconcetti, entrando così nelle vicende di un uomo che per un incessante necessità economica si ritrova a fare “il colpo del cane”, sfidando l’antica etimologia latina che il tentativo di prevedere il futuro riservava a questa espressione.

Accanto alla recitazione ben condotta di Silvia D’Amico, Daphne Scoccia e Edoardo Pesce, Risuleo riesce a caratterizzare anche il personaggio di Ugo, arrivando ad antropomorfizzare l’intero mondo animale che costeggia questa commedia diretta con attenzione e divertimento. Non è casuale l’inquadratura di una pecora che osserva uno stralcio di Roma dall’alto di una collina, un momento in cui l’alterità animale sembra suggerire una maggiore consapevolezza rispetto all’uomo; emblematica poi la scena del piccolo bulldog che si spoglia della tutina rosa, allegoria dell’apparenza, in una liberazione non solo fisica ma anche esistenziale. Un riscatto proprio degli stessi personaggi umani, che nei momenti più tesi si lasciano andare a una stanca insofferenza per la costrizione che una società claustrofobica impone e pretende: il monologo esplosivo di Orazio in seguito all’ennesima delusione d’amore, accentuato dal brano metal che lo accompagna nei viaggi in macchina, ne è un chiaro esempio.

Il colpo del cane si arricchisce della contaminazione artistica e culturale del suo regista ventottenne: dopo aver esordito con il cortometraggio post-diploma Varicella (2015), premiato alla Semaine de la critique, Risuleo innesta i germi di uno stile riconoscibile nel suo lungometraggio Guardare in alto (2017), in cui la città di Roma si rivela contenitore di estrosità e forti raffigurazioni identitarie. La marca concettuale del suo taglio estetico lascia intravedere anche in questo nuovo lavoro la sua mano da fumettista e disegnatore, con un’attenzione particolare all’equilibrio tra figure e significati. All’immagine si unisce uno studio dettagliato del suono che si conforma ai tratti identificativi dei protagonisti, non limitandosi a servire l’azione, ma cogliendo in chiave contemporanea i contesti e gli stati d’animo. La prima inquadratura del film è catalizzatrice di tutti questi sensi: un primo piano di Marti con indosso un paio di orecchini stravaganti che danza da sola attorniata da luci psichedeliche. Attraverso il gioco dello sdoppiamento e della maschera pirandelliana, che si realizza nella duplice sembianza estetica e caratteriale dei personaggi, Il colpo del cane mostra come la visione della realtà e degli accadimenti possa essere ingannata o svelata da un semplice cambio di sguardo.