Sui festival cinematografici, sulla Mostra di Venezia, che ha un suo particolare carattere in quanto manifestazione della Biennale, sulla Biennale stessa, retta da uno statuto che risale a una legge del 1938, sulla contestazione degli organismi culturali, si sono fatti tanti discorsi e si continua ancora talmente in cotesta accademia, che un libro dedicato alla Mostra veneziana, se vuole portare un serio contributo, deve basarsi soprattutto su fatti e documenti. È quello che si intende fare. Naturalmente occorreva una rapida rievocazione storica della fondazione della Biennale sino al 1963, anno in cui fui chiamato a organizzare la XXIV Mostra, e un panorama da allora alla XXIX, che è stata al centro di una singolare esplosione di avversità. Occorrevano tale rievocazione e panorama perché fossero chiare al lettore la situazione della Mostra stessa, che ebbe inizio nel 1932, e l’azione condotta per portarla a un livello da giustificare la sua appartenenza alla Biennale; e perché fossero altresì chiare, naturalmente, le difficoltà e le opposizioni, giacché si veniva a toccare grossi interessi, capaci di mettere in moto anche quelli assai più piccoli, che falla nuova linea della Mostra, peraltro, non venivano affatto danneggiati. Ma anche per questa parte si è cercato di basarsi il più possibile su fatti e di avere l’appoggio di documenti, proprio per mantenere una misura di concretezza, nel diluvio di parole da cui è stata investita la Mostra; diluvio di parole appoggiato a concetti claudicanti, ma spesso anche a ignoranza e falsificazioni che, documenti alla mano, si son volute qui fissare.

La XXIX Mostra, infatti, è stata un test, che ha scoperto tutte le varie ragioni per cui si sono mossi tanto a destra che a sinistra coloro che si riparavano con l’ombrello dell’ideale. Mondanità significa grossi interessi alberghieri, soprattutto; democrazia, confusione e irresponsabilità che permetta a taluni di profittarne; il concetto di nazione è legato a quello di danaro; e così via. Quanto sono apparsi ridicoli o in malafede molti contestatori di sinistra, tanto si sono dimostrati repellenti quelli di destra. E se quella ha certamente dato molto fastidio, sono state assai più preoccupanti le solidarietà che provenivano dalla destra non contestataria. Si devono, poi, aggiungere i prudenti: coloro che manifestavano pieno consenso alla linea di ferma resistenza, ma aspettavano di vedere come le cose si sarebbero messe prima di parteciparvi, sia pure da spettatori. Quasi nessuno è stato libero, la prima settimana, per venire a Venezia; tutti avevano degli impegni e le loro lettere finivano in una cartellina della segreteria, su cui era scritto PROVA DEL GATTO. Avevo raccontato ai miei collaboratori che in molte famiglie, prima di mangiare i funghi, se ne dà una buona razione al gatto; dopo l’esito si prende una decisione. «La prova del gatto», dunque, era un modo di dire per caratterizzare talune adesioni e certi interventi. Infatti gli appoggi sarebbero stati utili proprio al momento dell’inaugurazione.

Ma il libro non vuole essere uno sfogo contro le debolezze umane, anche se di queste si è dovuto tener conto nel condurre a termine la XXIX Mostra; esso intende piuttosto rispondere ad alcune domande che la gente legittimamente si pone: sono utili le mostre, e a chi? Quale carattere devono avere? È bene che si articolino secondo esigenze diverse? Devono assegnare dei premi? E la Mostra di Venezia quali compiti deve avere?

Ebbene, qui si cerca di rispondere a tali domande, riportando opinioni diverse sul piano internazionale, e di mostrare quali conflitti si nascondano dietro polemiche che appaiono ideologiche; conflitti di interessi, di vario genere, che non risparmiano colpi più o meno brutali.

Penso che il libro, oltre ad avere un significato particolare, ne ha uno ancora più interessante, se si considera la Mostra come elemento occasionale che mette in moto i vari contrasti esistenti in ogni paese. Non c’è dubbio che siamo in un periodo eccezionale: i movimenti studenteschi hanno posto in rilievo la vecchiaia di tante strutture, a cominciare da quelle dei partiti che, per non farsi superare dai giovani, alimentano in questi magari presunzioni ed errori. Infatti essere coi giovani non significa dar loro sempre ragione, ma avere il coraggio di «contestare» il torto quando hanno torto; così essere a sinistra non significa affermare che i partiti di sinistra (PSI, PSIUP, PCI) abbiano sempre ragione; significa, anzi, rilevare errori e incongruenze, perché se la destra ringalluzzisce è per gli errori della sinistra, che attraversa una crisi da non ignorare, se si vuole aiutarla, se si è veramente uomini di sinistra.

Tutto questo, e altro ancora, la Mostra e in modo particolare la XXIX edizione, ha messo in rilievo. Se si aggiungono le piccole viltà, le debolezze umane, le ambizioni ecc., l’atteggiamento incredibile di certa stampa, disposta a tutto pur di attaccare il centro-sinistra, si avrà un quadro davvero poco edificante.

Ci sarebbe stato veramente di che scoraggiarsi senza la presenza di molti giornalisti italiani e stranieri, di cineasti di ogni paese e soprattutto senza la partecipazione del folto gruppo dei redattori dei «Cahiers du cinéma» che hanno mostrato di rendersi conto del valore che poteva avere, particolarmente quest’anno, Venezia, alla quale han dato tutto il loro appoggio, giustificato da questi ultimi in termini così intelligenti e chiari, che si è ritenuto di riportare integralmente la loro dichiarazione apparsa nel numero 206 della rivista.

Qualcuno mi ha chiesto la ragione di tanta pazienza, di tanta calma. Nulla di eccezionale da parte mia; allora non leggevo i giornali che oggi, a distanza di quattro mesi, quando non mi interessano, mi divertono enormemente. Mi auguro che anche il lettore si interessi e si diverta.

L.C.

Roma, gennaio 1969.