Roubaix, une lumière, il nuovo lavoro del regista Arnaud Desplechin presentato a Cannes nel 2019, sembra un noir, ma imbocca un sentiero piuttosto inedito per il genere. In effetti, ci si trova di fronte a un racconto sociale che indossa i vestiti di un polar.

Il luogo è Roubaix, un’antica città industriale del nord della Francia, mentre la luce è quella che il commissario Daoud proietta sui casi che gli vengono affidati, tra furti, incendi, truffe e risse. Ma l’arco drammaturgico converge attorno al caso centrale della storia, l’omicidio di una donna anziana qualche giorno prima di Natale. Più che risolvere un crimine però, il film vuole cogliere l’essenza di una comunità: si aggira tra le strade notturne di Roubaix, si infiltra nel tessuto sociale della città, fra immigrazione, povertà, solitudine. Roubaix – protagonista anche nei precedenti film Racconto di Natale, I miei giorni più belli e I fantasmi di Ismael – è soprattutto il luogo natio di Desplechin, centro gravitazionale del suo immaginario. La cittadina attira a sé il regista, come una calamita, e lo stesso richiamo suona per il commissario Daoud, interpretato da Roschdy Zem: la sua famiglia è tornata in patria, a casa nel Nord Africa, e lui è l’unico che ha scelto di restare.

Qualcosa trattiene il commissario Daoud: non è abitudine né senso di colpa (il solo parente rimasto in Francia è un nipote in carcere che lo odia). Piuttosto è vocazione, una naturale tensione verso la ricerca della verità, verso la comprensione della miseria, della desolazione, l’intimo desiderio di accendere una luce nella notte scesa su Roubaix. A questo poliziotto, che sembra più uno psicologo o un confessore, si oppone, con un percorso speculare, il tenente appena trasferito Louis Cotterel, ex prete entrato in polizia e voce narrante della storia. Se le atmosfere del film possono richiamare i romanzi di Georges Simenon, il personaggio di Daoud condivide però uno spirito affine a quello dell’introverso «spalatore di nuvole» Jean-Baptiste Adamsberg, il brillante e umanissimo commissario uscito dalla penna di Fred Vargas.

Daoud non giudica mai, osserva, ascolta, riflette. Lo si vede nei lunghi interrogatori alle due sospettate dell’omicidio: non ci sono flashback della notte del delitto, c’è una ricostruzione a posteriori fatta di parole, sguardi, tentennamenti. La risoluzione del caso passa attraverso i volti intensi e segnati (spesso ripresi in primo e primissimo piano) di Léa Seydoux e Sara Forestier; le loro voci raccontano, alternandosi, quello che hanno fatto, come lo hanno fatto. Le due donne mentono, si contraddicono, poi cedono e confessano. Ma per Daoud, Marie e Claude non sono dei mostri, solo «esseri umani caduti per strada».

Desplechin prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nella sua città natale. Soprattutto si ispira a Roubaix, commissariat central, affaires courantes, documentario d’inchiesta del 2007 girato da Mosco Boucault. Anche Roubaix, une lumière si accosta al documentario, guarda in direzione del reale; mantiene la cupa tragicità del noir, ma abbandona l’incedere incalzante e l’azione del poliziesco. Le indagini sono sempre indagine sociale e psicologica. Scoprire il colpevole non è il punto di arrivo, ma quello di partenza.