Nell’anno in cui ricorre il trentesimo anniversario della riunificazione della Germania, Christian Petzold torna a riflettere su un momento cruciale per i registi tedeschi della sua generazione – in particolare per la cosiddetta Berliner Schule di cui fanno parte anche Thomas Arslan e Angela Schanelac. La domanda su come diversificare le narrazioni monolitiche che accompagnano la Wende ha spinto infatti Petzold, fin dai suoi primi lavori, a sovvertire le regole dei generi che ha di volta in volta esplorato. Undine sembra, in questo senso, aggiungere un pezzo alla Trilogia dei fantasmi – Die Innere Sichereit (2000), Gesnspester (2005) e Yella (2007) – soprattutto per il modo in cui dialoga con Yella, che con l’ultimo film di Petzold condivide l’incursione di elementi soprannaturali, all’incrocio tra micro e macro-storia, e l’acqua come principio al contempo di morte e rigenerazione.

La storia della città di Berlino mappa quella personale di Undine, giovane storica e guida turistica che porta il nome e il destino di un personaggio del folklore germanico simile alle sirene. Le Undine sono creature acquatiche femminili che possono legarsi a un amore terrestre a una precisa condizione: “se mi lasci, devo ucciderti”, una morte che avviene per annegamento. Sono queste le parole della protagonista, seduta al tavolo di un caffè nel centro di Berlino, mentre cerca di opporsi alla decisione del suo fidanzato, Johannes, di chiudere definitivamente la loro relazione. Undine non accetta che Johannes possa andare via, che ci sia un’altra donna nella sua vita, tenta invano di ricordagli le promesse fatte in passato e gli chiede di aspettarla allo stesso tavolo fino alla sua pausa di lavoro successiva. Si alza di scatto e si incammina verso l’ingresso del museo senza perdere di vista l’uomo che intanto sta parlando al cellulare, probabilmente con la sua nuova fidanzata.

Un gruppo di turisti attende Undine in una grande sala del museo dove sono esposti i plastici che ripercorrono i cambiamenti dell’assetto urbano di Berlino: dalla ricostruzione del dopoguerra, alla divisione in settori, fino alla riunificazione, i colori degli edifici bianchi e marroni, marcano il periodo storico dei diversi interventi architettonici. Nonostante Undine sia una guida attenta e precisa, capace di attirare l’attenzione dei visitatori, la sua voce si fa a tratti meccanica mentre racconta la cesura tra Est e Ovest, le trasformazioni della città a partire dagli anni Novanta, l’estetica nostalgica dei viali della Berlino Est il cui plastico sarà pronto in occasione dell’imminente ricorrenza, come ricorda la donna prima di spostarsi al modellino successivo che mostra la città così come si presenta oggi.

Petzold sente la necessità di tirare lo spettatore fuori da questo racconto incompleto e artificiale che comincia e finisce con le stesse parole, ha sempre la stessa durata e un percorso prestabilito. E lo fa ancora una volta, come in Yella, creando una “frattura acquatica” che sconvolge gli eventi ordinari. Dopo aver finito la sua presentazione, Undine corre al caffè nella speranza di ritrovare Johannes, ma il tavolo è vuoto così come la sala interna, dove in cima a una scaffalatura si trova un imponente acquario pieno di pesci, di alghe e in piedi, sulla sabbia del fondale, c’è il pupazzetto di un palombaro che chiama la donna per nome. Mentre Undine è assorta in questa allucinazione (?) acustica, qualcuno è entrato nella stanza: Christoph, che è rimasto molto affascinato dal tour guidato dalla donna, vorrebbe invitarla per un caffè ma, avvicinandosi, urta goffamente il mobile, facendo vacillare l’acquario che si frantuma in mille pezzi. Undine riesce appena in tempo a tirare con sé Christoph sul pavimento prima che i due vengano travolti dall’onda d’acqua che trascina tutti i suoi abitanti, compreso il palombaro – che è anche il mestiere di Christoph. L’incidente sancisce l’inizio di un amore intenso (e a tratti un po’ melenso) che ha il potere di assottigliare il confine tra reale e fantastico. Nel mondo subacqueo di Christoph si aggirano pesci spettrali e il tempo della storia lascia il posto a quello mitico. Undine però, nonostante il suo nome e il suo destino la leghino al mondo fantastico (o proprio per questa ragione), con il suo lavoro riflette sul pericolo di trasformare le fantasie politiche in falsi storici, come la controversa ricostruzione del Castello di Berlino portata a termine di recente. L’edificio che si trova al centro della città, fu in origine la residenza dei re di Prussia e degli imperatori tedeschi. Resistito in parte ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fu distrutto nel 1950 per essere sostituito, vent’anni dopo, con il Palast der Republik, sede della Camera del Popolo della Repubblica Democratica Tedesca. In seguito alla riunificazione fu abbattuto ancora una volta e, nel 2003, è stato avviato il progetto per la ricostruzione fedele delle facciate del castello originale. Un monumento che in maniera grottesca ha incarnato nel tempo i tentativi di cancellare le tracce del passato, con la brutalità della demolizione o con la ricerca di forme architettoniche perfette e inattuali. A ogni epoca la forma di violenza che più le si addice.

Con un preavviso di un solo giorno, Undine viene incaricata di sostituire una collega per guidare una visita all’Humboldt Forum, il museo che si trova all’interno del castello e dove la donna non ha ancora lavorato. Con la flessibilità che contraddistingue i freelance contemporanei, Undine passa la notte a preparare la sua presentazione, facendo le prove insieme a Christoph che la ascolta estasiato. Il paradosso davanti al quale il “nuovo originale” ci pone, conclude Undine, è che al centro di Berlino c’è un edificio-museo del XXI secolo con le sembianze di un palazzo reale del XVIII secolo. L’illusione risiede nell’ipotesi che questo, in realtà, non abbia importanza, che non faccia alcuna differenza; come dire che il progresso è impossibile.

La circolarità temporale di Yella, o meglio la vicenda che infine si scoprirà non essere mai accaduta, in Undine diventa una domanda aperta sul rapporto tra tempo naturale, tempo mitico e tempo storico. L’acqua in cui i protagonisti si liberano dalla frenesia della vita quotidiana, è anche però il luogo che annienta i loro desideri di felicità e stabilità, che li ricaccia nel tempo della coazione a ripetere. Così Petzold non teme di spingersi oltre le connessioni visibili e usa piuttosto il soprannaturale per contrastare un’idea di natura come ritorno all’origine, per aprire un varco critico in una realtà che si accontenta delle riproduzioni fedeli.