Nel 2019 Demetrio Giacomelli aveva raccolto per una mostra, sulla piattaforma Phroom, undici appunti-video intitolati in serie The Kennel. L’immaginario di internet, la ripresa parodica di sequenze cinematografiche e la narrazione surreale componevano il racconto onirico di Polpetta, vecchio cane rinchiuso in un canile, amante del calore del sole mattutino e di gustose crocchette, nonché creatore fantastico degli assemblaggi che si vedevano sullo schermo. In occasione di Filmmaker dello scorso anno, Giacomelli aveva rimontato i suoi materiali per farne un film omonimo più coeso e strutturato dalla durata di circa quaranta minuti. The Kennel dunque, nella sua forma finale, sembra dividersi in due parti: Polpetta e Il suono scuro. Questa suddivisione non deve far credere però in una volontà autoriale strutturante, perché The Kennel si presenta come un processo aperto in continuo mutamento, in continua ri-significazione.

Giacomelli catapulta lo spettatore in un universo di ombre frutto dell’immaginazione di Polpetta. Le immagini del cinema vengono stravolte da effetti digitali e detournate, l’estetica e il significato ribaltati, ironizzati, dissacrati: il borseggiatore Michel di Pickpocket (Robert Bresson), deformato nel volto da effetti da social network, diventa un personaggio in dialogo con i morti, e alla faccia di Janet Leigh viene sovrimpresso, come su FaceApp, il volto di Freud, che nel sogno (o incubo) assume il ruolo di disseminatore di peste – psicanalitica si direbbe – dopo il suo sbarco negli Stati Uniti.

The Kennel dunque si muove tra found footage, film amatoriale e videoarte sperimentale. Ma come è chiaro da questa abbondanza di etichette, Giacomelli sfugge anarchicamente ad ogni definizione di genere. Anzi, maneggia il suo materiale con estrema libertà narrativa, più vicino ad un esperimento grifiano (Verifica incerta) o ghezziano che a qualsiasi altro riferimento. Il rapporto con la morte, la sessualità, la psicanalisi, l’utopia comunista, simboleggiata nel protratto pugno chiuso conclusivo, si rimescolano in un viaggio tra sogni privati e sogni collettivi, sbeffeggiamento di miti storici e possibilità future. Ne esce un film che non assomiglia a nulla, e che segnala una voce indipendente, aperta, che fa della contaminazione la sua cifra distintiva.