L’immagine d’archivio può essere allo stesso tempo mezzo sia di ricerca estetica che di una riappropriazione della storia da parte di chi la studia (o la subisce). Così, per l’edizione 2023 della Locarno Spring Academy, Radu Jude ha coordinato dieci giovani filmmaker nella realizzazione di un corto attraverso materiali tratti dagli archivi della Radiotelevisione Svizzera Italiana.

Una delle possibilità che ci si può trovare a percorrere, in questi casi, è la ricombinazione di materiali all’interno di una propria costruzione narrativa, magari (data la natura di buona parte delle immagini a cui si ha accesso) con risultati un po’ retro-fantascientifici. In Transatlantic Malaise Diego Andrés Murillo mette in scena la ricerca di immagini negli archivi svizzeri da parte di un inviato del governo venezuelano, in una deriva nostalgica nell’archivio e nei sentimenti di un esule. Zhenia Kazankina ci offre invece, in Three secret clues of longing, sequenze di delicata, intima poesia strutturale, risonante col cinema sperimentale storico. Jumana Issa in Cashflow analizza il sistema bancario svizzero attraverso un utilizzo musicale (quasi ballabile) di alcune immagini ricorrenti, tutte legate a transazioni finanziarie. Altrettanto elegante in senso coreografico, quanto criticamente schierato, è A Neutral Film di Coline Confort che raccoglie sequenze di sciatori accompagnandole da pannelli che forniscono dati sulla neutralità bellica della Svizzera. Anche Alessandro Garbuio e Chiara Toffoletto toccano suggestioni belliche nel loro Bum Bum Town, rovesciando bombe atomiche sull’idillio di una Svizzera popolata da nudisti e creature volatili. Intenzioni simili sembra dimostrare Andrea Gatopoulos in Eschatonad, ma nel suo caso il panorama bucolico è semmai figura del panorama della creatività cinematografica contemporanea, su cui incombe l’intervento dell’AI (o solo la sua idea). Attraverso le parole di un personaggio elegante, positivo e persuasivo come solo una grande corporation sa essere, ci spiega le più note questioni sul campo, alternativamente fonte di sacro terrore o di grandi entusiasmi. Affronta il tema anche Bohao Liu, che in The Same The Other scandaglia invece l’archivio con un filtro AI, inizialmente mostrandone le maschere di riconoscimento dei soggetti, per poi passare alle vere e proprie elaborazioni del software.

Man mano che il volume delle immagini prese in considerazione si riduce, la possibilità di trarne significato si rende profonda, procedendo per rarefazione invece che per accumulo. Non un lavoro combinatorio, che si muove in modo orizzontale nell’archivio, ma uno scavo verticale nell’immagine. Così Ambra Guidotti in La Svizzera degli altri propone un lavoro lineare ed efficace sull’immigrazione italiana in Svizzera negli anni Sessanta, ripresentando sequenze semplici da interviste del tempo agli emigranti. Parole e immagini di estremo valore didascalico, che lasciano emergere in modo spontaneo l’accordo fra sofferenza storica e sentimento personale. Quasi perfetto di Federico Frefel è un film dolce e a tratti comico, composto con minimi tocchi di montaggio sul reenactment della telecronaca dell’allunaggio da parte dei conduttori dell’epoca. In questo modo Frefel allontana ogni retorica eroica di cui il tema è tipicamente caricato, allo stesso tempo relativizzandolo nella sua pretesa di avvenimento universale nell’associazione al concerto di musica tropicalista brasiliana.

Nel momento in cui il corpus di immagini si identifica in un vero e proprio unico corpo, femminile e oggetto di sguardo medico, si raggiunge la massima intensità emotiva ed esistenziale. In Quadrant di Slava Doytcheva un unico filmato diventa oggetto di una meditazione visuale sulla malattia in una progressiva elaborazione dell’immagine attraverso effetti elementari. Nell’ultimo passaggio, corrispondente al diario dell’autrice, l’immagine è bucata, oltre lo squarcio c’è ancora l’immagine stessa. Possiamo vederla come metafora del funzionamento della storia stessa delle immagini, della loro persistenza e ritorno attraverso l’archivio?