Forte di un’encomiabile coerenza di fondo pur nei passi incerti delle ultime produzioni, il cinema di Jeff Nichols prosegue il proprio discorso sugli Stati Uniti approcciando, per la prima volta, la trasposizione di una storia realmente accaduta e ancora vivida nella memoria nazionale. Al centro del suo quinto film è il celebre caso di Richard Loving e sua moglie Mildred che, sposatisi alla fine degli anni ’50, furono arrestati con l’accusa di aver trasgredito alla legge che proibiva i matrimoni interrazziali e, per potersi affrancare dalla pena, accettarono un prolungato esilio forzato fuori dallo stato della Virginia, dove entrambi erano nati e l’uomo era cresciuto quale elemento perfettamente integrato alla comunità afroamericana della donna.

Fin dal titolo – che sì rimanda alla rivendicazione d’identità dei protagonisti ma suggerisce anche una prospettiva di libertà fondata sulla tenuta e continuità dei sentimenti – Nichols non sembra molto interessato a modellare il racconto sullo schema del film hollywoodiano di impegno civile, sebbene la vittoria dei Loving abbia determinato una significativa modifica costituzionale in materia di matrimonio, sancendo una svolta nella storia della lotta per i diritti naturali. A partire dalla graduale presa di coscienza circa il ruolo pubblico che la loro vicenda poteva rivestire, raccontando lo sforzo di adattarsi a una nuova vita di città con i tre figli a carico, Nichols abbraccia il punto di vista dei Loving tendendo a spingere sullo sfondo il dibattito pubblico che intorno a loro, gradualmente, prese a muoversi.

Loving poteva diventare un inflazionato film tribunalizio, fatto di uffici, infinite consultazioni tra giudici e avvocati, manifestazioni. Di questo, nel film, c’è la traccia minima necessaria. Al cuore del racconto restano invece un uomo e una donna e i loro dolorosi interrogativi circa la legittima sensatezza di una scelta coniugale in un mondo dove bianco e nero non possono unirsi. L’indagine da sociologica si fa sentimentale ed esistenziale, e le scene del film si succedono avvolgendo i protagonisti di tensioni, falsi allarmi, spettri di intolleranza, tutti filtrati attraverso il loro sguardo in ricerca.

È forte, ancora una volta, l’attenzione di Nichols per lo spazio, a partire dalla metafora che il lavoro di Richard, muratore sempre impegnato a fabbricare case, porta con sé: davvero esiste un luogo dove non è possibile vivere, costruire una famiglia, una vita, il proprio rifugio, mattone dopo mattone? È naturale doversi scoprire sradicati dalla propria cultura di riferimento, familiare e sociale che sia? Sembra paradossale, ma i coniugi Loving non rivendicano con il loro amore una scelta di progresso: semplicemente vogliono vivere insieme. È il mondo a informarli con brutalità che, a ostacolare il loro disegno, esiste ancora, integrato alla Legge, quel fattore chiamato razzismo. Un enorme abuso culturale è giustificato da un’infondata tesi di natura: i neri non possono essere equiparati ai bianchi. La sottile reazione a questo inatteso processo della realtà alla coppia – e principale merito di un film non sempre così ben calibrato – diventa allora il dubbio che il contesto, anche in un paese promotore della progettualità individuale, sia più decisivo di qualsiasi afflato personale. Giocato sull’adesione ai volti dei protagonisti, con inquadrature prevalentemente fisse che spesso indugiano sulla dimensione più ordinaria delle loro vite, Loving pone al centro del quadro il tema irrisolto della vergogna sociale, il timore di non avere alcun diritto a valicare la cosiddetta norma, la fragilità di non sentirsi legittimati a difendere se stessi.

A ben pensare, quella che in Take Shelter diventava una vera e propria ossessione allucinatoria, l’ansia cioè di proteggere e sentirsi protetti, si sfalda negli occhi di Joel Edgerton quando Richard ammette alla moglie di non poter fare nulla per tutelare la loro famiglia: sarà proprio Mildred – sottile la performance di Ruth Negga, ritratto mai esasperato di una donna del proprio tempo – a riconoscere che per riprendersi ciò che è stato tolto è necessario spezzare il confine tra privato e pubblico, mettendo addirittura la propria, timida intimità a servizio dell’occhio mediatico che tutto accelera, espone, trasfigura. Fuori fuoco i giudici della Corte Suprema, suggerite le minacce quotidiane di un razzismo serpeggiante, i Loving conquistano a poco a poco le ultime immagini del film, quelle del silenzioso abbraccio davanti a una folla di giornalisti e fotografi in attesa di una loro dichiarazione da sposi liberi. Sembra un secondo matrimonio, dopo il primo compiuto quasi in segretezza, e presto negato. Nichols conclude il proprio racconto con il campo lungo su nuove fondamenta, finalmente in costruzione nel luogo che i Loving desideravano, gettando l’ombra amara del futuro con le ultime didascalie. Loving è un capitolo di probabile transizione per il suo percorso, perturbante agli esordi e oggi più incline alla convenzione. Quali possibili compromessi produttivi lo attendano, è cosa difficile a dirsi, ma l’impressione è che il suo lavoro da regista resti ancora caparbiamente personale e integro.