Presentato al Torino Film Festival nel ricco e variegato “fuori concorso” della sezione Festa Mobile, Ovunque proteggimi di Bonifacio Angius, che conferma le promesse e le aspettative suscitate nel 2014 con Perfidia, è un film dove le spinte centrifughe e contrastanti trovano un pieno equilibrio nell’estrema semplicità e assoluta levità con cui il racconto viaggia on the road. È un film vitale dall’animo disperato, solare nella superficie e cupissimo nella sostanza, lucido e concreto nel rappresentare un contesto e allo stesso tempo capace di abitare le dimensioni più sfuggenti dell’illusione e dell’utopia, intese come vie di fuga da una realtà spigolosa e da un passato invadente. In quest’ottica, utilizza con efficacia significante il paesaggio sardo, bellissimo come sempre e allo stesso tempo colto nei suoi aspetti più aridi, torridi e periferici.

Come da tradizione italiana, ma libero dall’obbligo di confronti con il passato, la dolce tragicommedia di Angius mette in scena con affettuosa durezza gli sconfitti, coloro che sono rimasti ai margini. Sconfitto è Alessandro, cantante folk intorno alla cinquantina ormai fallito e vittima dell’alcool, delle slot machine e di un’insoddisfazione latente che si scatena nella ricerca degli eccessi e nel graduale allontanamento dalla realtà (il “flusso di coscienza” che si fa monologo nelle sequenze del gioco d’azzardo, ad esempio). Ai margini dell’accettazione sociale e dell’amore familiare è poi Francesca, giovane donna con un passato e un presente fragilissimi, a cui è stato tolto l’amato figlio. I due si incontrano nelle corsie dell’ospedale dove lui viene costretto al ricovero in seguito a un violento attacco d’ira, e immediatamente entrano in connessione. Angius, anche sceneggiatore, delinea i loro caratteri e suggerisce il loro passato con delicatezza e pudore e, in particolare per quanto riguarda Alessandro, con il potere travolgente di un umorismo acre e malinconico. Sono personaggi “veri” anche grazie alla caratterizzazione gigionesca propria dei “tipi” da commedia, in grado però di fermarsi prima di diventare caricatura o creare il distacco emotivo tipico del grottesco; è fondamentalmente per questo motivo che nel film di Angius convivono la dolcezza e la tragedia, la speranza e la disperazione, la risata e la partecipazione emotiva, ed è per questo che il film ci permette di osservare l’abisso di una vita fallita senza farci perdere la possibilità dell’empatia, dell’affetto e della comprensione.

Tutto riecheggia nell’impianto tradizionale del film di viaggio. Ovunque proteggimi è infatti la storia di una fuga impossibile e utopica (forse) che segue i binari della ricerca di un figlio. Una ricerca esplicita per Francesca, inaspettata per Alessandro. L’uomo scopre infatti gradualmente il senso di responsabilità e rimedia a una vita di delusioni, illusioni ed eccessi improvvisandosi, prima quasi inconsapevolmente e poi con fierezza, guida di due figure perse e disperate quanto lui. Anche sacrificandosi, una volta per tutte, agli errori del proprio passato e alle loro ineludibili eredità, qui ribaltate in nome di un nuovo, più alto scopo. Alessandro diventa, in fin dei conti, una figura paterna. Tra le pieghe del racconto, del resto, la famiglia e la precarietà dei rapporti affettivi assumono un ruolo decisivo: tutto da essi deriva, che sia esplicitato nella vicenda – la ricerca di Francesca – o suggerito tra le righe – il ricordo del padre come “unico amico di un’intera vita” in Alessandro.

Bonifacio Angius realizza quindi un film che segue e rielabora strade e narrazioni già battute, senza però mai cadere nelle trappole dell’ovvio. Spicca anzi nel panorama del nostro cinema per la cifra ormai matura con cui modella il racconto in direzione di una schiettezza dal cuore pulsante, vitale, dotando di complessità anche l’immediatezza di un approccio tradizionale alla messinscena. In grado soprattutto, come nelle migliori commedie, di rielaborare la tragedia che continua a bussare alle porte.