Giunto alla sua 21esima edizione, Concorto Film Festival continua a offrire la sua finestra-caleidoscopio sulle visioni più interessanti del panorama internazionale del cortometraggio. Due anni dopo la pandemia (che non ha interrotto lo svolgimento del festival), il programma, che nella sua varietà sa trovare un’ispirazione coerente e trasversale, attinge tanto dai festival più rinomati quanto dal sottobosco di opere indipendenti di tutto il mondo, per accendere i riflettori sugli autori di domani.

Sin dall’immagine che domina la locandina dell’artista Elisa Talentino è chiara la dichiarazione del festival: il cinema nelle sue sperimentazioni, spesso le prime per gli autori di cortometraggi, è e deve essere un gioco di fantasia e di ribellione, come cavalcare al contrario un asino che vola. Ma attenzione, il gioco è pur sempre un esercizio serio. Sarebbe impossibile individuare un’unica linea tematica in una selezione che spazia volutamente tra generi, luoghi e temperature emotive, eppure quello che ne emerge con forza sono i frammenti di messaggi in bottiglia, gli appunti da un naufragio imminente, che solo il gioco di cui prima è in grado di liberare e alleggerire.

L’inquietudine di un presente imploso, che ci troviamo appiccicato addosso senza esserci accorti della velocità a cui mutava venendoci incontro, attraversato da angoscia e tenerezza, resistenza e disperazione, lega i 41 film in competizione ufficiale. Da qui la necessità di fare ordine, congelare il tempo, riprendere il ritmo, ciascuno il proprio, ed elaborare il caos del reale.

Come nel caso di On Solid Ground di Jela Hassler, che in un crescendo emotivo racconta i vari livelli di frustrazione vissuti da Eli, interpretata da Elena Sofia Borsani, in un qualunque giorno d’estate. Riemersa dall’acqua come da una placenta ovattata, il suo percorso attraverso la città si carica di un’aggressività che – forse – non le appartiene. Dal rimprovero accorato di un passante per essersi bagnata nel fiume, ai rumori del traffico, fino alle molestie subite da parte di due uomini per strada, Eli assorbe le vibrazioni accelerate e ostili del paesaggio urbano, riproponendole nel suo ambiente domestico contro chi le vuole stare vicino. Quello che la regista svizzera suggerisce è la difficoltà che la protagonista vive nel trovare un equilibrio, con un lavoro che non la appaga e in un contesto urbano che non aspetta nessuno. Attraverso uno stile molto diverso, anche Clark’s di Adrien L’Hommedé si snoda intorno al tema dell’estraneità di un giovane rispetto al suo contesto, questa volta l’ambiente di lavoro. Alan comincia la formazione per divenire operaio specializzato, come suo padre prima di lui. La staticità delle inquadrature volutamente innaturali si combina perfettamente con la vita ordinata che si prospetta per il protagonista. Dalla zuppa liofilizzata alle coreografie di mezzi meccanici, il regista passa dal tono satirico a quello drammatico per affrontare il tema dell’alienazione del lavoro oggi.

TCHAUTCHAU_STILL_02©Kidam - Cristèle Alves Meira

Se l’esistenza individuale è afflitta dallo spirito fiaccato del nostro tempo, anche la complessa articolazione delle relazioni e degli affetti offrono spunti a cui le visioni del festival non si sottraggono. Tchau Tchau di Cristèle Alves Meira, menzione speciale della Giuria di Concorto, affronta il tema della lontananza, raccontando con tenerezza il rapporto tra una nipote e suo nonno, divisi da un oceano. Abitudini quotidiane e gesti complici vengono riprodotti attraverso una varietà di dispositivi digitali, ormai al centro delle nostre interazioni. Così anche il momento di dirsi addio si trasforma in un funerale via zoom, ma alla freddezza del dispositivo corrisponde la dolcezza poetica di un saluto al nonno che la bambina inventa canticchiando. Una sepoltura metaforica è invece quella di Burial of Life as a Young Girl di Maïté Sonnet. Cinque ragazze si ritrovano a passare un weekend insieme per l’addio al nubilato di una di loro. Axelle, la sorella della futura sposa, si sta riprendendo dalla separazione con la sua ragazza, e senza volerlo scatena una serie di confessioni sulle crisi relazionali che anche le altre ragazze stanno vivendo. Il passaggio dalla sua camera da bambina al fiume che scorre vicino la spa di montagna in cui trascorrono il weekend allarga l’orizzonte a nuove prospettive, a metà tra disorientamento e riconciliazione. Al centro di Late Blooming in a Lonely Summer Day di Sein Lyan Tun la prospettiva dell’assenza di contatto, subito prima di un nuovo lockdown in Myanmar, tiene la protagonista Ma in un tempo di sospensione. Il suo desiderio sessuale verso un collega del ristorante in cui lavora come cuoca si insinua nelle immagini, cambiandole piano piano e avvolgendole in una lenta preparazione e nella cura verso un corpo non più giovane, ma non per questo privo di un’esistenza sensuale. Il sesso, sfruttato dal collega come mezzo per arrotondare, rappresenta per Ma il terreno su cui si infrange con più forza la sua solitudine e la ricerca di un avvicinamento, che probabilmente non avverrà.

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La separazione nella sua veste più definitiva è al centro del cortometraggio di Martin Strange-Hansen On My Mind, che giocando su toni tragicomici e su un registro, tanto visivo quanto drammaturgico, al limite del surreale, racconta la disperazione di un uomo e il potere catartico del karaoke. Entrato in un bar notturno in pieno giorno, il protagonista convince il burbero proprietario a lasciarlo cantare la canzone che dà il titolo al film. Quello che sembra uno dei tanti frequentatori del locale con l’abitudine di alzare il gomito per dimenticare, è un marito innamorato che sta per staccare la spina alla moglie malata. Tra memoir e fiction, il regista danese dipinge con estrema semplicità – che non toglie anzi aggiunge profondità al dramma – il lutto, invitando a riflettere su quanto poco sappiamo delle persone sedute a fianco a noi al bancone.

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L’elaborazione del distacco dal nucleo familiare, il cambiamento che attraversa il ruolo dei figli e la questione della memoria sono le premesse di due corti vincitori di questa edizione: l’Asino d’Oro Cherries di Vytautas Katkus e il Premio del Pubblico Bye Bye di Amélie Bonnin. Nel primo, un ragazzo aiuta suo padre, ormai pensionato, a raccogliere le ciliegie del suo giardino. Durante un lungo pranzo estivo, la nostalgia si affaccia attraverso la registrazione delle canzoni del padre con la vecchia band alternate a quelle del figlio da bambino. Al ritmo lento di un pomeriggio assolato, la vicinanza tra i due uomini si mostra nella sua precarietà, e il tono surreale e ironico del film trova il suo apice quando il figlio incomincia a volare sul padre, guardandolo rimpicciolirsi in un allontanamento ineluttabile e dolce. Bye Bye, sin dai titoli di apertura e di coda che ricalcano le classiche grafiche del karaoke, mette in scena un musical dalla vena realista, delicato e amaro. Anche qui un figlio torna nella casa dei genitori per aiutarli a traslocare. Divenuto scrittore dal discreto successo a Parigi, Julien viene rimproverato dal padre per essersi preso gioco delle sue umili origini, mentre la madre lo convince a firmare diverse copie per le sue amiche. Nella cittadina di campagna in cui è cresciuto rincontra la ragazza di cui era innamorato al liceo, incinta di un vecchio compagno di scuola e impiegata al supermercato come commessa. I due si ritrovano a ripercorrere luoghi della loro infanzia, intrufolandosi nella piscina del paese come facevano a quindici anni. La nostalgia e la consapevolezza di una lontananza divenuta incolmabile risuona nella canzone d’addio, in una narrazione che non rinuncia all’ironia e alla tenerezza.

Continuando a esplorare la fiction, le brume minacciose del cambiamento climatico e delle sue conseguenze prendono forma in un’ispirazione distopica che accomuna diverse opere di questa edizione. Al registro dell’horror più raffinato attinge August Sky di Jasmin Tenucci, pur mantenendo una linea autoriale realista. Durante una festa estiva all’insegna del cibo e della spensieratezza tra amici, un uccello muore cadendo vicino alla protagonista Lucia, macchiandole di sangue il ventre gravido. La psicosi personale, che la spinge a leggere gli avvenimenti successivi come una conferma del cattivo presagio, trova il suo specchio nel paesaggio che cambia repentinamente a causa degli incendi che stanno distruggendo le foreste amazzoniche. La bellezza sinistra di un cielo infuocato risuona dello stato d’animo della protagonista, che si avvicina a un gruppo di predicatori locali cercando nella religione un rifugio dalla paranoia. Altro esempio di rilievo è il film vincitore della Palma d’Oro all’ultima edizione del Festival di Cannes, The Water Murmurs di Jianying Chen, opera stratificata e sfuggente come l’acqua del titolo. Sul punto di abbandonare la sua città natale che sta per essere sommersa in seguito alla caduta di un asteroide e alle eruzioni vulcaniche sotto il livello dell’acqua, Nian cerca un suo amico d’infanzia per salutarlo e portargli un regalo d’addio. L’ambiguità dell’atmosfera azzurrina e trascendentale che avvolge il film sembra rispecchiare quella di un rapporto inafferrabile, d’amore e di nostalgia. La camera fluttua insieme alla protagonista nei luoghi ormai quasi deserti e nella loro memoria impalpabile compiendo un gesto poetico di quieta bellezza.

Una simile irrequietezza riguarda la selezione di animazioni in concorso. Fourth Wall di Mahboobeh Kalaee assume il punto di vista di un bambino, e attraverso i suoi occhi trasforma ciò che accade nelle quattro mura domestiche di una cucina in una strana filastrocca in cui i genitori sono elettrodomestici in eterna lite. L’immaginazione sopperisce alla claustrofobia, generando improbabili metamorfosi e cambiamenti di scena, fino alla caduta delle mura di carta che non sono che il gioco del protagonista. Two Sisters di Anna Budanova, utilizzando una tecnica di animazione tradizionale dalla forza materica, mette in scena due sorelle gemelle, Rouge e Blanche, che vivono in simbiosi in prossimità di una foresta. La loro relazione si manifesta nei movimenti del corpo, per i quali la regista si è ispirata alla danza coreografica giapponese butō e che trasmettono un’ancestrale oscurità al film. L’equilibrio nella vita delle due viene incrinato da uno straniero che vive nelle foreste, che colora di inaspettata passione il bianco e nero dei disegni. Per concludere questo viaggio attraverso alcuni dei 41 film in concorso, Ice Merchants di João Gonzalez racconta la quotidianità delle relazioni e il trauma del cambiamento e della perdita con delicatezza poetica nello stile e nella narrazione. Ogni giorno padre e figlio scendono dalla loro casa arroccata su un precipizio per vendere il ghiaccio in città. Quando la temperatura si alza e il ghiaccio comincia a sciogliersi sulla montagna, la loro vita cambia inesorabilmente. Il conflitto con l’ambiente circostante mette in discussione ma non distrugge, generando un volo precipitoso che, come in un sogno, termina senza ammaccature. Scopriremo infine che l’amore salva dal caos del reale, restituendoci bellezza nel naufragio.