Per certi versi, il mezzo cinematografico si nutre di correlativi oggettivi. Non disponendo della duttilità della parola poetica, è necessario individuare equivalenti concreti di concetti astratti o di stati d’animo, affidandosi alla potenza espressiva dell’immagine.

Nel suo Una volta ancora, Giulia Di Maggio fa il passo successivo, riducendo la presenza umana e affidando il racconto quasi unicamente ai luoghi e agli oggetti che li riempiono. Il cortometraggio, vincitore del premio per l’Opera Prima al festival Visioni dal Mondo 2022, è il ritratto dolce e malinconico di un’estate che passa, vista attraverso gli occhi dei tre protagonisti: una videocamera di sorveglianza, dei cabinati balneari e un’anziana signora vispa e attivissima.

Nell’impostazione tipica del documentario contemplativo, ma venato da una poetica che ricorda il cinema di Jacques Tati, Di Maggio ci fa osservare il mondo dal punto di vista degli oggetti (in questo caso uno stabilimento balneare di Mondello, in Sicilia). Le consapevoli scelte registiche permettono un’empatia immediata sia con cose inanimate che con persone e animali, rafforzata dall’accompagnamento musicale, che guida i movimenti emozionali e si fa voce di quegli stessi oggetti. La sensazione dominante è quella di una placida rassegnazione dinnanzi al tempo che passa, enfatizzata dal carattere statico degli oggetti esaminati dalla macchina da presa: le cabine, che è possibile spostare solo servendosi di un montacarichi, e la videocamera, ben piantata nel terreno. La spiaggia si riempie, si popola e si svuota, il tempo scorre, ma gli osservatori restano fermi. Si tratta di un sentimento che ha innegabilmente dominato il periodo del pieno della pandemia, in cui il cortometraggio è stato girato. Le immagini, però, sono accostate con incredibile dolcezza, e questo sentimento di calda malinconia diventa racconto corale, grazie a una regia in grado di unificare bagnanti, cani, videocamere e cabinati balneari, tutti vivi allo stesso modo.

Una volta ancora è una piccola gemma contemporanea, che lascia a chi guarda, al termine della visione, un senso di calore e affetto, attraversato da una poetica degli oggetti che riempie gli occhi e scalda il cuore.