Nel film di Agnès Perrais la Firenze moderna si imprime nella materialità della pellicola Super 8, nella cui grana si rivela e vibra l’eco della storia. I vicoli, le strade, i palazzi della Firenze antica, ripresi oggi, costruiscono un paesaggio visivo che si trasforma immediatamente in paesaggio della memoria storica, per assonanze, riverberi e ritorni. Una memoria fervida, fertile e viva. Una memoria di lotta. Seppur arbitrariamente, la regista francese, documentarista dedita pure a forme poetiche brevi più sperimentali (Marin miroir, Navire), a partire dal libro Le révolte des Ciompi di Alessandro Stella, collega per immagini e suoni il Tumulto dei Ciompi del 1378, caso-archetipo di primitiva rivolta proletaria, alle lotte operaie del SI Cobas di Firenze e Prato, in sciopero per undici mesi con picchetti permanenti davanti ai cancelli della Texprint, filmate in pellicola 16mm. Fin da questo elemento, Ciompi dichiara la sua essenza di film materialista e materico, in quanto il movimento nel tempo e nelle esperienze conflittuali è anche slittamento di supporto, diversa consistenza dell’immagine.

Firenze è la prima attrice di Ciompi e il suo testo è la Storia, parafrasando con qualche modifica quel che Serge Daney scrisse di Trop tôt, trop tard, nonostante nel film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet l’attore fosse il paesaggio della campagna francese e egiziana, insieme alle lotte contadine, mediate da una lettera di Engels e dalle Luttes des classes di Mahmoud Hussein, che animavano quegli spazi. Anche nel lavoro di Agnès Perrais un testo, di natura storiografica, diventa mediatore dell’immagine, in questo caso urbana.

Alessandro Stella, ex militante dei Collettivi Politici Veneti costretto all’esilio in Francia durante gli anni di piombo, ripercorre in un’intervista l’organizzazione “autogestita” (si direbbe oggi) della sollevazione popolare che portò lanaioli, cardatori, calzolai e piccoli artigiani (il cosiddetto “popolo minuto”) a prendere il potere del Comune di Firenze scacciando, in un moto di giustizia collettiva, il “popolo grasso” dei banchieri e dei grandi mercanti, rappresentanti del governo cittadino. Traghetta dunque lo spettatore, come testimone sconfitto della lotta armata, verso la sconfitta dei ciompi, contraltare somigliante, ma non uguale, della storia dei lavoratori immigrati della Texprint, visti in azione durante scioperi e presidi. Allo stesso tempo due voci narranti si alternano per proiettare lo spettatore all’interno di un’esperienza storica esemplare, una favola dal brutto finale.

Con questa scelta Agnès Perrais fa scattare una dialettica metastorica, tra Benjamin e Lukács, orientata verso un futuro di lotta politica. Per questo interpella, in un gesto brechtianamente partecipativo (e il magistero di Straub e Huillet si fa sentire, seppur non manieristicamente, anche qui), alcuni occupanti di Via del Leone a recitare i nomi dei ciompi eletti nuovi sindaci del governo rivoluzionario, e gli scioperanti della Texprint – loro riflesso come soggetto storico – a riaffermare nomi e cognomi dei loro compagni. Ciompi è allora, pure, un film polifonico, composto da voci eterogenee, sempre marginali, che riscrivono un testo alternativo rispetto alla storiografia tradizionale.

In Ciompi i tempi storici vengono maneggiati liberamente, in uno scambio (e montaggio) continuo e alternato tra passato e presente di lotta. Le riprese che scorrono sulle iconografie e gli arazzi dell’età comunale dicono di un passato vivo, che parla al presente attraverso le voci e le ambientali registrate durante le manifestazioni a Prato: (la) lotta dura, senza paura, dai volti rabbiosi dei ciompi fino a quelli altrettanto determinati dei sindacalisti SI Cobas. Allo stesso tempo le immagini fisse di Firenze fanno riemergere dai muri e dalle pietre dei palazzi del potere memorie di sangue e di rivolte, di sommosse e scontri politici, delineando all’interno del film un’immagine dalla geografia e dall’estensione temporale stratificate.

In tempo di rivoluzioni, gli orologi si fermano.

Ciompi si pone come un film che interpella lo spettatore, lo sollecita a farsi carico di una dialettica (meta)storica ciclicamente rivoluzionaria e catastrofica, invitandolo a rileggere il corso degli eventi, passati e contemporanei, da una prospettiva “altra”, dal basso, con occhi più mobili e feroci. Gli stessi con cui dovremmo guardare, proprio in questi giorni, alle aggressioni padronali davanti ai magazzini bolognesi di Mondo Convenienza ai danni di un picchetto di lavoratori del SI Cobas in sciopero per le condizioni lavorative da semi-schiavitù. La lotta non è finita.