Un documentario famigliare, presentato in anteprima italiana al 13° FrontDoc, in cui Miguel López Beraza propone ai propri genitori, Jesus ed Elvira, di interpretare – rispettivamente – Marcello Mastroianni e Brigitte Bardot mentre passano una giornata sul molo di Casillas, nelle vicinanze di un ristorante. La volontà della scelta è presto chiarita sin dalla prima inquadratura del film. Vediamo una vecchia fotografia dei corpi vivi, ma senza volto, dei genitori dell’autore. Un errore dato dalla poca familiarità con lo strumento da parte dell’allora fanciullo Miguel López Beraza. Una casuale disattenzione su cui iniziare a costruire qualcosa, partendo magari proprio dal nome di questo film.

Di fatto Ponto final prende il titolo dal ristorante in cui i genitori si recheranno a mangiare, ma è soprattutto allusione a quell’ultimo momento che separa la vita dall’aldilà. Una divisione ben descritta dalla composizione spaziale delle inquadrature, a cui si aggregano anche le informazioni di contesto, come per esempio il molo su cui poggia la trattoria, un luogo in cui si incontrano le acque del fiume e del mare o ancora meglio, dove finiscono le une e iniziano le altre. Si affronta il tema della morte, argomento direttamente collegato alla malattia terminale di cui sono stati affetti entrambi i genitori. Come per ogni momento di transizione è però fondamentale prepararsi, fare delle prove. E di fatto questo si vede. Alle scene di fiction si alternano il backstage e la vita quotidiana. Ma c’è di più: il film utilizza un’ulteriore forma per collegare/separare le cose. Se a livello compositivo l’immagine viene già di per sé sezionata, l’autore inserisce un ulteriore layer tramite delle sovrapposizioni. In più momenti, alla ripresa del “qui e ora” viene “appoggiata” una vecchia fotografia riguardante l’oggetto o il soggetto protagonista, così da tessere un discorso comparativo tra le due immagini. In primo piano e a fuoco, ciò che è già stato, e sullo sfondo sfocato, ciò che invece è. Insomma, un modo rapido ma efficace per mostrare il passaggio del tempo che, dato l’utilizzo di due media differenti, ne definisce le differenze, problematizzando ulteriormente la tematica della morte. La sovrapposizione viene poi fatta tentennare. Vediamo Jesus ed Elvira con alle spalle un green screen su cui successivamente verrà inserito il titolo. L’opera esplicita dunque la propria struttura narrativa mostrando – nello stesso momento – i genitori sia all’interno di casa propria che in un altrove che scopriremo da lì a breve.

Mastroianni e la Bardot danzano sul molo e, stanchi, si addormentano per poi dirigersi verso quell’ignoto (dove il fiume diventa mare) in cui nemmeno il green screen può accedere. Torniamo alla realtà, svelando nuovamente i due universi – la casa e il rio Tajo – e smascherando i personaggi che ora tornano ad essere sé stessi. Alcuni passi in avanti, e i nostri protagonisti abbandonano anche il primo layer, raggiungendo nel fuori campo il figlio Miguel. Rimaniamo soli ad ammirare un portale all’interno di un altro. La finzione dentro al documentario, e viceversa. Il cinema come strumento per esorcizzare la paura della morte e per colmare quella cesura che trent’anni prima, negò ai genitori la possibilità di avere un volto, sconfiggendo così quella innocente svista che tanto sapeva di triste profezia.