Chi è Celeste? Una bambina della media borghesia che canta spensierata nei super8 familiari? Un’adolescente in grado di far sentire la sua voce di fronte alla follia di un coetaneo? Una spavalda visionaria in grado di presagire il Male e offrire un sollievo attraverso la sua angelica voce? Una mamma-bambina che non ha mai superato il trauma del ritorno alla vita? Vox Lux, il nuovo film di Bradly Corbet (regista che aveva esordito con l’ambiguo L’infanzia di un capo), porta nel titolo l’ideologia di massa a cui sottostà l’Occidente, incarnata da una cantante pop, capace di risorgere dalle proprie ceneri come un’ammaliante fenice.

Diviso in due blocchi speculari (Genesi e Rigenesi), il film mette in relazione la carriera di successo della protagonista con tre gesti di terrorismo, spartiacque nella sua scalata verso il consenso. Appena quattordicenne (interpretata dalla delicata e potente Raffey Cassidy, già protagonista di Il sacrificio del cervo sacro di Lanthimos) si trova a fronteggiare l’assalto alla sua scuola da parte di un compagno armato, a cui saprà rispondere con una canzone pronta a diventare una hit. Il crollo delle Torri Gemelle corrisponde all’allentamento del rapporto simbiotico con la sorella maggiore (Stacey Martin), primo simulacro a doversi far da parte per lasciare il palcoscenico tutto per lei. Il gesto singolo di una cellula su una spiaggia croata sancirà la definitiva affermazione della stella (ormai nelle movenze esibite di una Natalie Portman, totalmente trasformata nel portamento), dopo un periodo di disintossicazione, e la sua siderale distanza da una figlia (di nuovo Raffey Cassidy), copia di se stessa adolescente. Un destino da fronteggiare: in una società incapace di rispondere al Male, l’unico anticorpo al terrorismo sembra riposto in questa Sacerdotessa e nei suoi ritornelli, in cui le parole amore, perdono, speranza diventano un mantra in un’esibizione che sconnette significante e significato, svelando la causa di un malessere che si incarna nei gesti sovversivi del fuoricampo maschile.

Scritto come la rielaborazione contemporanea di Faust, di cui gradualmente diventano più espliciti i riferimenti (ma il primo – bellissimo – sta nel racconto di un sogno in cui Celeste corre in un tunnel senza fine superando incurante le spoglie di se stessa in differenti stadi della vita), Vox Lux è la scoperta della competizione del Festival, rivelando l’accuratezza di una costruzione formale che sa condensare in pochi elementi un racconto distopico del nostro tremendo presente, nel magma di un linguaggio cinematografico che mescola archivi privati e pubblici, permettendosi di omaggiare il cinema maledetto di Gus Van Sant. Senza coscienza ma affamata di vita, Celeste ripete incessantemente i gesti di una danza che impara bambina e diventa il suo calvario, a causa dell’incidente che le ha leso la colonna vertebrale. Prigioniera di un patto con il demonio che le ha suggerito le parole di quel Nuovo Testamento, professato nel suo abbagliante spettacolo.

Ma Vox Lux, che prende le sembianze di un lucido film sul pop nella società contemporanea (distante dalle accomodanti atmosfere di A Star Is Born di Bradley Cooper), è soprattutto un’opera ambiziosa che tenta di fare i conti con la trasformazione della società contemporanea, assetata di esperienze radicali e totalmente persa nella capacità di elaborarle in pensiero, avendo smarrito la consapevolezza della propria posizione. Non c’è un deserto in cui vagare fino alla fine dei propri giorni come in Faust, bensì un’inquadratura gremita di una massa consenziente, incapace di rispondere all’urgenza storica dei nostri tempi. Ammalianti simulacri di noi stessi, duplicati ad ogni nuova genesi, ma impotenti di fronte al crollo della Storia. [Daniela Persico]


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SGUARDI SOTTO ASSEDIO

Saeed è un giovane cinefilo e videomaker. Attivista dalla parte dell’Esercito Siriano Libero a Ghouta, alterna le lezioni di cinema con un vero e proprio lavoro di reporter sul fronte al fianco delle operazioni di guerriglia, mettendo a rischio la propria vita. Milad, pur sensibile rispetto all’acutizzarsi del conflitto, vive dall’altra parte delle barricate, nella capitale Damasco, dove termina gli studi d’arte. In seguito all’attacco chimico del 21 agosto 2013 (su cui ancora oggi vige una grande controversia sul numero effettivo delle vittime) decide di raggiungere Saeed a Douma per sostenere la popolazione sotto assedio: tra le macerie dei bombardamenti e con i viveri che scarseggiano, i due mettono in piedi uno studio di registrazione e attività per i più piccoli. La loro videocamera filma tutto ciò che li circonda e, come da titolo “continua a registrare” anche quando la loro incolumità fisica viene messa a serio repentaglio dai franchi tiratori appostati tra gli edifici in rovina.

Frutto di più di 450 ore di materiale girate tra il 2011 e il 2015 da otto cameramen (tra cui i due registi e uno, Soleiman Al Naaeb, scomparso mentre filmava), Still Recording è l’auto-ritratto di una generazione che prova a raccontarsi all’interno di un conflitto che da ormai più di sette anni devasta il paese mediorientale. Il progetto di video-reporting di Ghiath e Saeed, inizialmente mirato a postare su internet in maniera continua e ossessiva il resoconto delle operazioni militari dell’Esercito Siriano Libero, contribuendo alla proliferazione sul web di immagini e informazioni sul conflitto, si fa racconto soggettivo e allo stesso tempo collettivo, intimo e generazionale.

L’ossessione del filmare diviene cinema nel momento in cui essi stessi acquisiscono consapevolezza del rischio derivato dalla presa di posizione del cineasta di fronte alla realtà che filma. Se inizialmente le immagini prodotte sembrano rispondere alle logiche affermative e accumulative della (contro)informazione di guerra, successivamente assumono un tono dubitativo e sospensivo. La camera, da mero generatore di documenti diviene istanza filmica, che interroga e “spoglia” – dalle appartenenze ideologiche e militari – i corpi di fronte all’obiettivo. È così che, di fronte alla barbarie, il cinema diventa l’ultimo baluardo per stringere una sorta di “alleanza umana”, che unisce tanto il cecchino che risponde alla telefonata di sua madre col fucile puntato verso il nemico, il runner che non rinuncia alla corsa quotidiana sotto la minaccia dei MiG e auspica di diventare un martire dello sport, il guerrigliero che intavola una discussione via radio con un soldato dello schieramento lealista (memorabile e assurda testimonianza dell’irragionevolezza del conflitto) o lo stesso Milad, che alla cerimonia di diploma strappa letteralmente la camera dalle mani di Saeed per concedersi una confessione in video.

«L’immagine» dice Saeed all’inizio del film, mentre durante una lezione analizza le immagini di un blockbuster americano per formare i nuovi potenziali videomaker di Ghouta «è l’ultima linea di difesa nei confronti del tempo». Il giovane cineasta sembra in un certo senso riabbracciare la lotta comolliana «tra le forze che tendono ad appagare il desiderio di spettacolo […] e coloro che vogliono mettere in questione, se non in crisi, lo sguardo”. Un rischio – il desiderio di spettacolo –  che riguarda in prima linea non solo il cinema ma anche l’informazione di guerra, laddove l’arbitrio finale tra queste due forze, come testimonia il tremendo piano sequenza finale, giace, unicamente e indiscutibilmente, tra le mani della realtà. [Alberto Diana]


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NOI: DUE CINEASTI

Dice Chris Marker nel suo Sans Soleil: «On ne se souvient pas, on réécrit la mémoire comme on réécrit l’histoire». Qui sta la potenza del cinema: nella sua capacità di riscrivere il passato, rileggerlo, risignificarlo, per poi ricombinarlo nelle sue infinite possibilità di montaggio. Così Angela Ricci Lucchi, spentasi il 28 febbraio scorso, riprende vita nei fotogrammi de I diari di Angela – Noi due cineasti, il film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi presentato fuori concorso a Venezia. Firmato da entrambi, perché il film è più che un semplice omaggio – troppo banale, sarebbe – alla compagna di una vita: è una dichiarazione artistica, “una promessa, un giuramento di continuare l’opera”, come dichiara(no) nei titoli di testa. E così “Noi due”, come è sempre stato da quando negli anni settanta si conobbero e cominciarono a lavorare assieme ai loro film sperimentali, anarchici, avanguardisti. “Noi due” come solo potrebbe essere: perché il loro cinema è dialettica, dialogo tra presente e passato, tra la storia e le sue interpretazioni, tra la realtà e le infinite possibilità altre. Le loro voci si inseguono e si raccontano l’un l’altra nel corso del film: voci spezzate, strozzate, i ricordi di una vita riletti attraverso i minuziosi diari che Angela compilava giornalmente, i suoi acquerelli, le riprese intime e personali, i viaggi alla scoperta di nuovi archivi, i super 8, le foto, le video-installazioni delle mostre d’arte, i ricordi d’infanzia. Che fatica scavare nella memoria, scandagliare sé stessi, il proprio dolore.

Tocca riavvolgere la bobina sulla moviola, tornare indietro fino all’inizio, ai “film profumati” degli anni settanta, ai “diari elettrici”, la “trilogia sulla violenza del ‘900” e poi nel 2015 il Leone d’Oro a Venezia per la partecipazione al Padiglione Armeno. Instancabile lavoro d’archéologie du savoir, di ricerca e d’avanguardia spesso non compreso, raramente celebrato. Una vita passata a scorrere fotogrammi avanti e indietro, smontare il tempo per poi ricomporlo in una missione che rasenta l’ossessione.

E allora quale modo migliore per eternizzarsi se non frammentare un’intera vita assieme, farne un’opera d’arte, per poi ricombinarla – scegliendo – momenti di gioia e di dolore, del semplice quotidiano, di storie che si intrecciano in un diario d’amore, tenero, intimo. È il cinema che si fa biografia, la biografia che si fa cinema, passando per la pittura e la scrittura in un’esperienza di metamorfosi continua. E allora “Voi due cineasti”, perché in questo film il resto del mondo non può che rimanere fuori a guardare chi di una vita ha fatto un’Arte, espressione personale, indipendente e coraggiosa. [Pietro Repisti]


L’INCONSCIO E IL SUO DOPPIO

NESSUNA RESA

SCARPETTE ROSSO SANGUE

LE DOPPIE VITE DEGLI ALTRI

IL CORPO DELLA MEMORIA

NOSTALGIA DEL FUTURO