“Ma mi porga alcuno, come di luce scura, il calice odoroso.”
Andenken, Friedrich  Hölderlin

Il termine tedesco Lichtung (letteralmente: radura) deriva dal verbo lichten (diradare) e indica un’apertura del bosco in cui gli alberi si riducono per lasciar filtrare la luce (Licht). È un termine centrale della filosofia di Heidegger, che utilizza l’immagine della Lichtung per indicare la verità, in contrasto con la metafisica tradizionale che ha sempre identificato Dio con la piena luce del sole. Per Heidegger la verità non è luminosità già data, costantemente presente e disponibile, ma è un’apparizione temporanea, pronta a essere inghiottita dal fitto del bosco. L’oscurità non è però solo negatività, bensì condizione essenziale della luminosità, perché la radura può emergere solo se circoscritta e protetta dall’ombra degli alberi.

La veduta luminosa, il nuovo film di Fabrizio Ferraro, presentato nella sezione Forum della Berlinale 2021, affronta questi temi sin dal suo titolo per declinarli in senso estetico. Si avventura tra i boschi lasciando prevalere i toni bruni dei tronchi e del muschio, sempre pronto però a far apparire squarci improvvisi di luce che penetrano tra gli alberi, alla ricerca di una verità che non è mai stabile e acquisita, ma che si disvela nascondendosi.

La prima parte del film, più razionale e convenzionale, sembrerebbe riprendere la classica struttura del road movie, con due personaggi molto diversi che si scontrano e si trasformano durante un viaggio. Catarina, energica assistente di un produttore cinematografico, sta accompagnando il cupo e silenzioso regista Mr Emmer dall’Italia a Tubinga. Qui il regista, un tempo geniale e ora forse folle, vuole girare un film su Friedrich Hölderlin, poeta su cui proprio Heidegger ha basato parte della sua produzione filosofica. Ma tra Catarina e Mr Emmer non avviene alcun contatto empatico, vi è una distanza incolmabile, un’incomunicabilità testimoniata anche dal piano linguistico: lui parla in italiano, lei risponde per lo più in inglese. Nel film di Ferraro il viaggio non è quindi un’occasione di trasformazione né di scoperta, non è un percorso lineare per arrivare alla meta arricchiti, ma un detour senza punto d’arrivo.

A metà del viaggio Mr Emmer non accetta più di lasciarsi richiudere in un’auto e condurre da Catarina lungo i rigidi percorsi di un’autostrada, ma inizia a camminare tra campi e boschi, costringendo la ragazza a corrergli dietro. Il film assume quindi un ritmo erratico, simile a quello già proposto da Ferraro in Gli indesiderati d’Europa. La telecamera accompagna Mr Emmer nel suo vagabondaggio in mezzo a una natura sempre più selvaggia, ne riprende le farneticazioni, si lascia sorprendere dai raggi di luce e dai rumori del bosco. Lo sguardo che osserva queste scene è quello di Caterina, che insegue Mr Emmer con il fiatone, trascinandosi dietro una valigia. Dapprima la ragazza cerca di ricondurlo alla ragione, ma è poi costretta ad arrendersi all’assenza di logica. Si tratta della stessa prospettiva dello spettatore, che come Catarina può solo accettare di stare al passo di Mr Emmer, in un inseguimento tutt’altro che semplice e lineare, in un tentativo perennemente frustrato di ricostruire un senso nei discorsi dell’uomo.

Al termine di questo percorso non dobbiamo attenderci alcuna ricompensa, nessuna verità che le parole di Mr Emmer siano in grado di far affiorare. Il linguaggio si rivela infatti come strumento inadeguato e lo stesso Mr Emmer, che si arrovella intorno a un’ossessione indecifrabile, non può illuminare lo spettatore con nessuna spiegazione della realtà. Rimangono dunque solo le immagini, da pensare però non come rappresentazione, come simboli da interpretare per arrivare alla verità. L’immagine è evento, attimo in cui la natura si disvela e può emergere il “visuale”, inteso come frattura che permette di andare oltre il semplice dato visivo e aprire a nuove dimensioni percettive. Non resta quindi che «aspettare un istante di bagliore», come afferma Mr Emmer, una veduta luminosa che però, per apparire, necessità sempre dell’oscurità.