Durante il 74° Locarno Film Festival abbiamo incontrato Kit Zauhar, ventiseienne regista, scrittrice e attrice asiatico-americana. Proveniente da Philadelphia ma d’adozione newyorkese, Zauhar ha presentato la sua opera prima a Locarno nella sezione Concorso Cineasti e ora è in concorso al Milano Film Festival. Actual People è un mumblecore a micro-budget che racconta di una millennial che tra goffaggine, frustrazione e ironia naviga tra drammi personali, familiari e professionali. Un’antropologia urbana che mostra la transizione e lo smarrimento di una giovane adulta alla fine del college e della sua relazione sentimentale, chiamata a diventare una “actual person”. La cruda vulnerabilità di Riley, protagonista del film interpretata dalla regista stessa, invita a non dare mai per scontate le emozioni, e con ritrovata maturità ci racconta di come attraversarle e contestualizzarle.

Ti sei formata alla Tisch School of the Arts della New York University. Ci racconti la tua esperienza e come sei arrivata a voler fare cinema?

Quando ero molto giovane facevo sempre spettacoli e scrivevo. Poi al liceo ho diretto e recitato in molte commedie ed è stato naturale approdare al cinema dopo il teatro, dirigere in un modo diverso mi ha permesso in un certo senso di diventare una scrittrice-regista. Con il cinema si ha più controllo del mezzo durante le riprese rispetto al teatro, così da poter trasmettere più cose contemporaneamente. Amo comunque molto il teatro e forse dopo il Covid potremo finalmente tornarci. Per quanto riguarda la mia formazione scolastica, sono andata al liceo a Philadelphia. I miei genitori si sono incontrati mentre facevano il dottorato alla Penn State University in Pennsylvania, dove sono nata. Oltre a una breve parentesi a St. Louis, MO, ho speso la maggior parte della mia vita a Philly, prima di trasferirmi alla NYU per studiare film. Alla Tisch c’erano moltissime persone che forse non capivano bene che si è sempre in competizione. Ci sono molti studenti benestanti che hanno fondi fiduciari e che sono eccessivamente rilassati perché magari vengono da famiglie che sono già nel campo delle arti. Non è lo stesso per me, ed è per questo che credo di essere stata in grado di crescere e di godermi l’esperienza in modi diversi rispetto a studenti e studentesse che non hanno continuato a fare film. Ma la maggior parte delle persone nel film sono persone che ho incontrato alla NYU, che comunque mi ha molto aiutato a creare una comunità di attori e filmmaker con cui collaboro ancora.

Hai iniziato a scrivere la sceneggiatura del film durante l’università?

Ho iniziato a scriverlo appena laureata alla NYU. Ci sono dei momenti nella vita in cui tutto quello che hai o che hai fatto da un momento all’altro sparisce, e tendenzialmente si crea qualcosa di nuovo. Durante le ultime settimane di scuola mi sono lasciata con il mio ex ragazzo, ho avuto problemi con molti amici e contemporaneamente gestivo nuovi e interessanti lavori che mi avrebbero accresciuta da un punto di vista professionale. É stato un grande mix di emozioni che ho sentito come immense e ingestibili, non sapevo proprio come affrontarle. Sulla base di quegli eventi, così importanti e ravvicinati, ho pensato che s’intravedesse la base di una storia. Ho rielaborato i punti chiave per scrivere il soggetto del film, e per molto tempo mi sono dedicata alla scrittura. Actual People è pura finzione, ma la sua struttura è basata su quel periodo della mia vita.

Come mai hai deciso di essere non solo dietro, ma anche davanti alla macchina da presa?

Sapevo che sarebbe andata così. Ci sono diversi motivi, uno tra i quali è che recito da molto e mi è sembrato importante darmi una prima grande occasione per soddisfare certe ambizioni di vita e artistiche. Un altro motivo è che a livello personale la mia scrittura si percepisce come fisica, corporea. Il modo in cui scrivo è connesso al mio corpo e gran parte del mio lavoro di saggistica lo riguarda, in particolare il modo in cui il corpo naviga gli spazi e l’intimità. La mia scrittura doveva essere interpretata con la mia stessa voce e mi sono sentita a mio agio facendolo. Inoltre, a un livello più pratico, non credo che avrei avuto lo stesso risultato dai miei amici non attori che recitavano nel film. Se un’attrice fosse stata al mio posto, sarebbero stati sicuramente molto più a disagio.

Perché hai inserito nel film delle brevi riprese fatte con il cellulare?

Una volta concluse le riprese e rivisto il materiale, sentivo fossimo arrivati al 95% della completezza del film. Mancava quel qualcosa che manda tutti gli spettatori a casa felici, come il ‘tin’ finale del triangolo a chiusura dell’opera d’orchestra. Ritrovare nel cellulare delle brevi clip che riesumassero i momenti chiave di quel periodo è stato un colpo di fortuna. Una volta montate nel film le sentivo come lo spartiacque tra fiction e realtà: erano tutte riprese che risalivano al periodo della fine dell’università, in cui immortalavo me stessa o i miei amici, protagonisti stessi di Actual People. Funzionavano perché rappresentavano con leggerezza ciò che è stato quel momento di transizione, che era ciò che stavo raccontando nel film. Quindi ‘tin’: potevo tornare a casa felice.

Nella scena in cui l’ex fidanzato della protagonista cerca di riappacificarsi con lei, Riley sta leggendo The First Bad Man di Miranda July ed è un dettaglio divertentissimo che rivela un po’ di te. Quali sono le artiste e registe che ti hanno ispirato nel tuo percorso da filmmaker?

Miranda July è l’artista che ha davvero realizzato il connubio autore-performer, sdoganandolo. Sin dal liceo è stata una grande ispirazione per me, così Lena Dunham, che controversie a parte, con Girls ha segnato un importante punto di svolta nella coscienza culturale televisiva americana nella rappresentazione delle donne. Girls ha avuto molta influenza su di me anche considerando che Dunham ha scritto, diretto e recitato in tutta la serie, così come aveva fatto in Tiny Furniture (n.d.r. il suo lungometraggio d’esordio). Qualche volta mi hanno paragonato a Greta Gerwig ed è buffo, perché, anche se lei mi infastidisce, mi sono molto rispecchiata in Frances Ha. Inoltre, sono molto interessata alla scena mumblecore. Quando ero più giovane non ho mai pensato a me stessa come a una cinefila e ancora adesso non guardo tanti film come dovrei. In compenso, leggo moltissimo: è quello il mio principale sistema di fuga che conferisce una certa letterarietà a quello che realizzo. Ispirazioni più recenti includono Hong Sang Soo, Wong Kar-wai ma anche Ruben Östlund e Nanni Moretti. Ho visto Ecce Bombo, super divertente! Altre ispirazioni contemporanee sono Josephine Decker ed Eliza Hittman, che è stata mia insegnate alla NYU.

Tocchi il tema della birazzialità e delle microagressioni alla comunità asiatica ma non ti ci soffermi. Come mai?

Non volevo prendere forti posizioni politiche su cosa significhi essere asiatico, perché ho molti privilegi grazie al mio aspetto. Essendo “etnicamente ambigua” posso passare per caucasica ma anche sembrare di altre origini. In particolare negli Stati Uniti, il modo in cui le persone ti percepiscono e ti trattano è basato su ciò che credono tu sia. Io non avevo paura durante l’ondata di razzismo anti-asiatico perché sapevo che non sarei stata presa di mira. Non mi sentirò mai a mio agio nel commentare cosa significa essere asiatici. Il cinema è un mezzo visivo e non rispecchiando esteticamente il canone asiatico penso sia stupido forzarlo solo perché negli Stati Uniti in questo momento va di moda la politica dell’identità. In questo modo si crea solo arte mediocre. Elementi di rappresentazione culturale sono presenti in modo discreto e delicato. Per esempio a casa di Riley, il posto dove sono cresciuta, ci sono molti dettagli che si trovano in una qualsiasi famiglia cino-americana. Anche il personaggio di Katie, l’amica più affidabile della protagonista, è e sembra asiatica. Inconsciamente rappresenta il senso di appartenenza che Riley prova per le sue origini, come se andare da lei equivalesse a tornare a casa. Faccio parte della prima generazione in cui ci sono molte più persone di razza mista rispetto a quella dei miei genitori. Ho il privilegio di muovermi nel mondo senza diventare un bersaglio a causa della mia apparenza e non sarebbe onesto fare dichiarazioni importanti o traumatiche, anzi probabilmente anche il pubblico ne sarebbe adirato.

Hai dichiarato di essere cresciuta durante le riprese, come se tu abbia esorcizzato realmente ciò di cui parli nel tuo film. Com’è iniziato il processo?

Il consiglio principale che mi è stato dato è di essere il tuo primo fan, sempre. Nessuno s’interesserà mai tanto quanto te per il tuo film. É facile a dirlo ma difficile a farsi, soprattutto nel momento in cui sorgono problemi di varia natura e quando sei sola davanti allo specchio ti dici: “Ma questa roba non funzionerà mai”. Molti registi si dicono lunatici e spesso lo sono, la troupe si sente in dovere di ridare l’entusiasmo vitale durante le riprese che in realtà dovrebbe appartenere al regista-leader. La verità, per me, è che in ogni secondo, nonostante le improvvise difficoltà che ti si palesano davanti, devi essere tu a sprigionare entusiasmo costruttivo. Ed è per questo che posso affermare di essere cresciuta e maturata realizzando Actual People. Ho messo da parte tutte le mie insicurezze e ho agito come avrei voluto davvero, lavorando in sinergia con gli altri e soprattutto con tutte le parti di me stessa. Attraverso questo processo, nato per la necessità del film, sento di essere diventata una donna indipendente, libera. Credo che sia un processo chiave per se stessi, ancor prima di pensare ai film, per sentirsi in costante crescita e stare bene.

Durante il Q&A del tuo film in molti ti hanno ringraziata per la genuinità dei sentimenti mostrati da Riley: immaginavi che si potesse empatizzare così tanto con il tuo personaggio?

Il mio obiettivo è riuscire a far sì che le persone si sentano capite e si rispecchino nei miei film. Ho vissuto la mia infanzia in solitudine: i miei genitori lavorano sempre e sentivo di essere strana rispetto agli altri, ero l’unica bambina asiatica in tutta west Philly. Mi sentivo incompresa, fondamentalmente perché non tiravo fuori nulla che potesse rendermi più comprensibile agli occhi altrui. Credo che il senso dell’arte sia anche saper dare una forma a quest’incomprensione. Dopo la proiezione del film, una signora che poteva avere la stessa età di mia madre, mi ha detto che Actual People era il film adatto da vedere con sua figlia, cosicché entrambe potessero rivedersi nel film e forse capirsi un po’ di più. È esattamente ciò che voglio smuovere nel pubblico. Detto questo, mi rendo conto che Riley non sta scalando l’Everest, ma sta “solo” diventando grande. Non si può si può negare che i teenager sentano le cose in modo estremamente intenso. Riley vive le piccole difficoltà insormontabili, i primi amori tormentati e la precarietà del futuro. Era giusto, quindi, restituire l’intensità emotiva di queste circostanze, senza vergogna nell’immortalarsi fragili, proprio per quella che è realmente la sfera emotiva del personaggio.