Tra le figure più interessanti nel panorama cinematografico contemporaneo, Albert Serra è un autore eccentrico che, oltre al cinema, si è cimentato fra installazioni artistiche e regie teatrali. Già vincitore di svariati premi fra cui il Pardo D’oro con il suo Historia de la Meva Mort, ha presentato all’ultima edizione di Cannes Liberté, opera provocatoria ispirata al mondo del libertinaggio settecentesco. Proprio per questa attitudine nell’evadere dagli schemi abbiamo pensato di fare due chiacchiere con lui, in occasione della sua partecipazione alla settima edizione della Filmidee Summer School, domandandoci assieme quale sia lo stato attuale del cinema e quale tipo di futuro si prospetta.

Pensavamo di partire dal mondo dei Festival. Anche il tuo cinema ha potuto vedere la luce proprio grazie a loro, a partire dal tuo primo lungometraggio, Honor de Cavalleria. Quanto è importante il loro ruolo negli ultimi anni?

Più che importanti i festival in giro per il mondo sono indispensabili, dal momento che permettono di vedere i film che solitamente non vengono distribuiti nelle sale. Sono una garanzia di qualità, dato che le persone che selezionano i film non scelgono mai dei brutti film, ma pretendono solo il meglio. Questo sottolinea il ruolo fondamentale dei programmatori e delle critica, che non si prende più la briga di stabilire se un film è bello o brutto (se un film è brutto non se ne parla nemmeno), ma fa in modo di sollecitare lo sguardo del pubblico, supportando l’opera che ha scelto. Si tratta quindi di un lavoro di selezione e scoperta, oltre a un investimento per gli autori stessi. Per vedere come sta evolvendo il cinema è indispensabile partecipare a questi eventi. Il cinema sopravvive grazie a loro.

Ci sembra di capire che quindi non è più il caso di intendere il cinema come spettacolo ma come un evento vero e proprio.

Il vero cinema per il grande pubblico è morto. Una grande opera oggi non può permettersi di fare i conti con le leggi del consumo. Forse è per questo che si avverte una certa tensione nello stesso metodo di realizzazione dei film: agli spettatori viene chiesto spesso un grande sforzo, che si tratti della durata o della comprensione delle immagini. Ovviamente ogni film è diverso dall’altro, io parlo di una certa tendenza… Comunque credo sia questo il destino del grande cinema. È come se due corsie parallele che facevano parte di una stessa strada si stessero allontanando sempre di più: da una parte abbiamo il cinema per il grande pubblico e dall’altro gli autori. Queste due vie sono e saranno sempre più inconciliabili. Un avvenimento molto simile a quello che è avvenuto nel mondo dell’arte…

Già, il mondo dell’arte contemporanea. L’hai citata spesso durante queste giornate…

Ne parlo perché i due mondi si assomigliano molto e si pongono gli stessi interrogativi. Pensiamo per esempio a The Square, anche se in questo caso il mondo dell’arte e dello scandalo che provoca nel pubblico è utilizzato solo come pretesto narrativo, ma non riesce a scandalizzare realmente lo spettatore come dovrebbe saper fare un’opera d’arte! Questo è il tipo di cinema che mi interessa e che credo sia indispensabile portare avanti. Ad ogni modo, i registi che si mettono a fare arte sono molto più bravi degli artisti che si mettono a fare cinema. E questo perché, forse, per fare un film ci vuole molto più impegno. Si tratta pur sempre di un lavoro di equipe, di un’opera che implica molto più tempo, più investimento di budget. E poi, anche dal punto di vista dello spettatore, è più facile scappare da una galleria che da una sala, una volta che si trova lì!

E per quanto riguarda la rivoluzione digitale? Dici spesso, a proposito del tuo lavoro, quanto sia stato un evento indispensabile. Ma chi sono gli altri registi che sanno come adoperare in maniera prolifica e sperimentale questo nuovo mezzo?

Sicuramente Lav Diaz. Ma anche altri come Wang Bing, Pedro Costa… E non solo perché il mezzo digitale ci permette di girare in maniera molto più libera di prima, ma anche di poter filmare senza limiti. Ciò che manca in questa rivoluzione è nella fase distributiva. Perché le persone sono così stupide da non aver ancora inventato delle app su cui si possono comprare i film? Che so, paghi 1 Euro un film di Lav Diaz e te lo puoi vedere tutto il giorno… senza abbonamenti mensili, paghi solo quello che vedi. Questa sarebbe una bella invenzione, e permetterebbe ai giovani di vedere dei gran bei film e poter valutare quelli per le masse meno di zero!

(Intervista raccolta in occasione della Filmidee Summer School 2019, realizzata con il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commission)