“IL SIGNOR Z. – In ogni caso è indubbio che se cresce il più cresce anche il meno e il risultato complessivo si avvicina allo zero. Inoltre, per quel che riguarda la morte, pare che nulla più che zero sia stato ottenuto dal progresso della civiltà.

IL POLITICO – Ma il progresso della civiltà non si pone certo fini come l’annientamento della morte.

IL SIGNOR Z. – Lo so che non se li pone, ed è precisamente per questo che non è possibile esaltarlo troppo. In realtà, se sapessi con certezza che io stesso e tutto quel che mi è caro dovremo scomparire per sempre, quale importanza avrebbe per me che i vari popoli combattano tra loro o vivano in pace, che siano civili o selvaggi, educati o ineducati?”

I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo, Vladimir Solov’ëv

I tre dialoghi

Durante la masterclass tenutasi al Trieste Film Festival, Cristi Puiu ha dovuto assentarsi per qualche minuto nel bel mezzo del discorso a causa di un incendio scatenatosi nel palazzo di fianco casa sua, un evento assolutamente inaspettato e incontrollabile entrato in campo durante un’occasione formale e già programmata. Per chi ha visto Malmkrog appare chiaro come questo accadimento reale sia curiosamente simile allo schema del film, in cui Puiu, adattando l’opera dello scrittore e filosofo russo Vladimir Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo, mette in scena una serie di confronti dialettici di alcuni membri dell’aristocrazia russa di inizio Novecento, che ruotano attorno alla possibilità della Storia di protrarsi attraverso un’evoluzione empatica, con tesi e antitesi argomentate dai protagonisti attorno a tematiche belliche, teologiche, morali ed economiche. Il punto principale in cui l’adattamento cinematografico si differenzia dall’opera letteraria in questione si ricuce in alcuni accadimenti esteriori che lasciano intendere che al di fuori della villa, in cui si discutono i massimi sistemi dell’esistenza umana dell’epoca, stiano prendendo forma violentemente delle fattualità ineludibili, che danno l’impressione di essere ricomprese in un circolo di continuo inizio e termine.

Opera fluviale e testimone definitivo della teleologia stilistica del più importante regista del vivacissimo panorama cinematografico rumeno, Malmkrog rivela oltre ogni ragionevole dubbio la fine della narrazione come elemento in grado di arrivare fino al nucleo degli eventi (per lo meno all’interno di in un cinema che si propone di spostare i limiti del linguaggio sempre oltre l’orizzonte visibile), perché compromessa dalla fine ormai totale degli ultimi residui di un modernismo progressivo che si è dimostrato negli anni poco più che una pia illusione. La realtà corre sempre più veloce della sua rappresentazione teorica, è questo il senso delle rivolte che udiamo e di cui in un fugace attimo intravediamo l’irruenza, una forza che squarcia quel fascino discreto di una borghesia trinceata dietro un’idea accademica della vita, che invece non si chiede mai il perché ma sempre e solo il come.

Mentre lo scritto di Solov’ëv vuole essere principalmente un’opposizione alla tesi del cristianesimo misantropo di Tolstoj, il film ne ricalca più che altro la forma (non il perché ma il come, quindi) portandola coscientemente fino al parossismo nell’impostarne la struttura, attraverso una ricostruzione calligrafica del testo di provenienza, cambiando solo alcuni personaggi per equilibrare la presenza maschile con quella femminile (rendendo così il film un’opera quasi a-storica di fatto) e giocando con l’idioma parlato, la forma della parola, a volte francese, altre russo e altre ancora rumeno (ma è l’attore qui che parla o è il personaggio?).

Lo sfondo delle sensazioni del resto, acuito in quei momenti di folle malinconia tra un dialogo e l’altro, anche in Malmkrog richiama le atmosfere dei romanzi di Dostoevskij (di cui per altro Solov’ëv era grande amico e consigliere), a cui Puiu non ha mai nascosto di ispirarsi profondamente, da La morte del signor Lazarescu fino a Sieranevada, costellando le sue sceneggiature di principi Myskin mancati, proiettati verso una purezza utopistica azzoppata dal pragmatismo della sopravvivenza e del conformismo.

…e il racconto dell’anticristo

Mi è capitato di leggere pareri illustri, e sicuramente anche ben documentati, che descrivevano Cristi Puiu come un “modernista reazionario”, incasellandolo nell’alveo ideologico appartenente a quell’Europa dell’est che si rifà alle idee di Ernst Jünger e Oswald Spengler aggiornate al ventunesimo secolo, ma credo sia molto importante tenere in degna considerazione il punto di vista, completamente capovolto rispetto al nostro, di un osservatore attento nato e cresciuto nel blocco sovietico, e in particolare nella Romania di Ion Antonescu e Nicolae Ceaușescu, approdata all’interno di una fragilissima democrazia solo dopo decenni passati sotto due feroci dittature. Scopriremo allora un’idea di società in cui per esempio la spiritualità, più che la religione, bloccata per anni dalle imposizioni del realismo (finto) socialista, si affaccia con curiosità nelle speculazioni teoriche-artistiche, richiamandosi a delle origini ataviche soffocate dalla repressione del regime, e noteremo uno sguardo congenitamente posseduto dal dubbio, che ricerca sempre una verità impossibile da raggiungere, un punto di fuga che i personaggi in Malmkrog osservano sempre, al di là dell’obiettivo, fuori campo e fuori dalla s/Storia.

Premesso ciò è sicuramente vero che il cinema di Cristi Puiu, così come del resto quello di Cristian Mungiu e di Corneliu Porumboiu, differisce nella sua analisi da quello più acido e radicalmente postmoderno del suo (vogliamo ammetterlo?) erede Radu Jude, che sembra incarnare tutto il disincanto del dolore tramutato nel riso amaro della civiltà rumena, dal post feudalesimo fino alla confusione di questo tardo capitalismo, ma quest’opera, che si pone come apice di un’ampia ricerca che travalica il singolo autore, ci parla attraverso l’universalità dei suoi argomenti (e l’argomento qui confina pericolosamente con il tema), inventando un film che si nutre costantemente della minaccia della sua fine, deridendo e allo stesso tempo compatendo tutte le macchiette di ieri e di oggi che pensano che se un cambiamento ci sarà, non spetterà certo a loro gestirlo, e infine ci confida tra le righe che il cinema è, seppur nella sua crepuscolarità, ancora in grado di parlare al presente come nessun’altra forma d’arte riesce e riuscirà mai a fare. Viva Cristi Puiu quindi, viva il cinema rumeno.

“IL POLITICO – Certo, da un punto di vista egoistico la cosa non avrebbe alcuna importanza.

IL SIGNOR Z. – Perché soltanto da un punto di vista egoistico? Da ogni punto di vista, mi scusi. La morte rende tutto uguale e dinanzi a essa l’egoismo e l’altruismo sono altrettanto insensati.”