Nello spazio innevato di una città come tante, in un tempo presumibilmente futuro, uomini e donne congelano nella quotidianità la distopia dell’appaltare i propri amori all’alienazione tecnologica.

Cyril Schäublin, già vincitore della menzione speciale First Feature al 70° Locarno Film Festival e ora nella sezione Pardi di Domani – Cortometraggi d’Autore, affronta il genere fantascientifico fondendolo con una messa in scena prettamente documentaristica e normalizzando l’alienazione dei propri protagonisti.

Seguendo la linea tracciata da Spike Jonze in Her, Il faut fabriquer ses cadeaux accantona il giudizio sociologico e liquidamente si immerge nei frammenti di storia che riflette. Questo approccio volutamente ambiguo restituisce all’intero impianto drammaturgico un profondo senso di malinconia, mostrandoci chiaramente in pochi fotogrammi cosa attende la civiltà occidentale, al di là di suppellettili fantasiosi che il cinema spesso usa per immaginarsi il futuro.

Forse la sfumatura più impressionante del cortometraggio di Schäublin sta paradossalmente nell’inconsapevolezza calcolata del proprio sottotesto: la coscienza davanti all’ineluttabile verità che il domani è già arrivato, e che noi non siamo ancora pronti per comprenderlo.


Ha bisogno di aiuto?

CHUTE

In un’anonima città nordica una persona cade a terra, apparentemente svenuta. Qualcuno passa oltre, altri la abbracciano. Impegnata in una solitaria ricerca di intimità, il suo sguardo e il suo corpo vacillano, accecati da un mondo di indifferenza.

Con Chute, vincitore del Pardino d’oro per il miglior cortometraggio svizzero – Premio Swiss Life, al 74° Locarno Film Festival, Nora Longatti mette a nudo le alienazioni e le incomunicabilità della società contemporanea attraverso una spiazzante e suggestiva metafora, servendosi dei corpi come inaspettati veicoli di senso e di dialogo.

Questi stranieri che incrociano i propri sguardi in mezzo a una strada di periferia, in un supermercato, in un bar o su una rampa di scale, messi davanti all’imprevisto reagiscono al di là di un codice realista, guidati proprio dal senso dell’impulso che ha spinto la protagonista a perdere la propria coscienza, forse per regalarla a loro.

In questo senso Chute (che vuol dire proprio “stranieri”) con questo semplice pretesto di dislocazione, ha il pregio di regalare, attraverso un sapiente surrealismo, anche istanti di autentica tenerezza.