La compression 

numérique nuit gravement à votre goût du cinéma [1]

Pip Chodorov

 

Re:Voir Vidèo è la prima società francese di distribuzione home video dedita al cinema sperimentale. Nasce ufficialmente nel 1994 per volere di Pip Chodorov, filmmaker di origini americane, con lo scopo di rendere accessibile al maggior pubblico possibile un cinema ai più sconosciuto, confinato ai margini dell’industria e del dibattito cinematografico. La sua piccola boutique ha sede a Parigi e rappresenta una sorta di tappa peregrina obbligatoria per gli appassionati del genere (al suo interno libri rarissimi, pellicole e cineprese, dal Super 8 al 16mm): i clienti di Re:Voir vengono da tutto il mondo – la maggior parte delle vendite si svolgono online – e il suo raggio di azione si è espanso ancor di più a partire dal  2014 con il servizio di streaming video on demand. Oggi la società ha quasi 25 anni e vanta un catalogo di circa un centinaio di opere,  in un affresco eclettico della storia passata e recente del cinema sperimentale mondiale: due terzi sono film di patrimonio e il restante terzo opere contemporanee; lo stesso rapporto si mantiene sulla nazionalità, un terzo è americano e il restante europeo. Dietro alla collezione di Re:Voir vi è una profonda e curata indagine artistica nonché una grande audacia, in una raccolta di opere capace di rappresentare tutta la complessa eterogeneità del genere, spaziando dal movimento dadaista e surrealista, ai film concettuali o d’avanguardia americana, dal film-diary al lungometraggio d’autore, fino all’animazione e all’hand-painted film.[2]

Ripercorrere oggi il cammino di Re:Voir Vidéo risulta estremamente interessante poiché offre una pratica riflessione non solo sui cambiamenti radicali che ci sono stati nella storia del supporto video e delle modalità di fruizione dei contenuti audiovisivi, ma getta un’inconsapevole luce sulle difficoltà prettamente tecniche che un certo tipo di cinema (già penalizzato nella sua diffusione)  ha dovuto affrontare per continuare a esistere: tra tutti i generi cinematografici esistenti, quello da considerare realmente vittima della compressione numerica è infatti lo sperimentale. Il destino della società, nata a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo e in piena rivoluzione mediale, è stato fin dall’inizio – e lo è ancora oggi con la distribuzione online – strettamente intrecciato e dipendente dallo sviluppo tecnologico e distributivo del settore home video (VHS, DVD, VOD).

Il progetto di trasferire le opere su video prende avvio all’inizio degli anni Novanta, quando Chodorov lavorava per Light Cone, la più importante cooperativa francese di distribuzione di cinema sperimentale, sorta nel 1972. Al tempo essa chiese a tutti i cineasti di depositare una VHS dei loro film in modo che i programmatori dei festival o le associazioni potessero visionarli senza usurare la copia in pellicola, molte delle quali iniziavano a presentare evidenti segni di degradazione. L’idea di destinare queste copie al pubblico è nata da un malinteso fortuito: non avendo compreso la situazione, Cherel Ito – la detentrice dei diritti di Maya Deren – inviò a Light Cone le cassette con le opere della filmmaker manifestando entusiasmo all’iniziativa di destinare alla vendita le VHS (mentre negli Stati Uniti era già una pratica confermata, in Francia l’espansione del formato video fu piuttosto tardiva). Chodorov decise di cogliere il suggerimento e lanciarsi in questa missione: le modalità di fruizione stavano visibilmente cambiando e il cinema sperimentale, per mantenere e accrescere la sua visibilità, doveva adeguarsi.

La società di distribuzione home video nasce quindi nel 1994, inizialmente con il nome di Light Cone Vidéos; in seguito ad alcuni screzi interni, nel 1998 il suo fondatore la muterà in Re:Voir Vidéo Sarl, con un’altra équipe. Dietro al suo nome si cela la filosofia della società: vedere infatti un’opera realizzata con un supporto analogico in formato digitale non è visionare l’opera in sé, ma Ri-Vederla[3]. Sottolineando questo aspetto, nel corso dei decenni la società si è sempre mossa nel tentativo di ricordare ciò, di quale materia il cinema è fatto, ove per materia non si intende banalmente solo il supporto pellicola ma tutto il corredo artistico tattile che ne deriva e che va sistematicamente – e inevitabilmente – perso. Basti pensare a un film canonico come Mothlight (1963) di Stan Brakhage, realizzato con l’applicazione diretta su pellicola 16mm di foglie, fili d’erba, e un’insieme di nature morte che “ri-prendono vita” esclusivamente attraverso la luce del proiettore. Allo stesso tempo, specialmente per quanto riguarda le opere di patrimonio, non bisogna tralasciare il carattere performativo dalla proiezione: non solo queste erano spesso copie uniche ma venivano introdotte dall’artista stesso in quanto «segno di una personalità»[4] ed esigevano la presenza di un pubblico attivo, radunato attorno al proiettore, parte essenziale di quella performance.

Quindi, se da una parte la distribuzione in formato home video diventa essenziale per garantire una diffusione del cinema sperimentale sempre più democratica e capillare, dall’altro canto questa non può eticamente ed “ecologicamente” sussistere senza una distribuzione theatrical (sale, associazioni e festival), ricordando allo spettatore che l’opera in formato video che sta vedendo è in realtà un complesso tentativo di rimediazione dell’originale: «Per farmi capire dico sempre se qualcuno farebbe mai un esposizione di Picasso con delle fotocopie delle sue opere. Il video di un film è la fotocopia di un’opera”. Per tale ragione, nel 2005 Pip Chodorov creerà The Film Gallery, la prima galleria d’arte dedicata esclusivamente al cinema sperimentale con lo scopo di promuove il cinema nel suo supporto d’origine.

Le sfide che Re:Voir ha dovuto superare sono innumerevoli: come accennato in precedenza, essa nasce come società che vende VHS e subisce, fino a scenderne a patti, tutta l’evoluzione tecnologica. Il passaggio (indispensabile) al formato DVD fu tragico per la società. Dobbiamo considerare che vi è una grande differenza tra l’immagine fotochimica e quella elettronica, tra i grani, disposti irregolarmente sulla pellicola e i pixel, che seguono precisi algoritmi. Si tratta di due supporti che comunicano con linguaggi totalmente diversi. Il catalogo del 2006 è infatti introdotto da un testo, firmato da Chodorov, dal titolo Why no dvd?, in cui viene illustrato perché il nuovo supporto è inadatto al cinema sperimentale:  «La compressione MPEG è stata pensata per immagini il cui movimento è naturale e prevedibile (…) Ora, nella maggior parte dei nostri film tutto si muove, tutto cambia. In un dvd classico solamente un’immagine su 6 o 12 è realmente scritta sul disco, le altre sono vettorializzate. Per la forma cinematografica che noi diffondiamo, è necessario che tutti i frame siano scritti sul disco, 25 al secondo»[5].

Le vendite di VHS erano però scarse; di quel passo, la società avrebbe rischiato la chiusura. Riuscire a realizzare una copia di qualità sul nuovo formato diventò il primo obbiettivo – nonché incubo – del suo fondatore: seguiranno tantissimi test, non solo nei laboratori europei (principalmente tedeschi) ma anche negli Stati Uniti, senza ottenere mai buoni esiti eccetto per quei film esteticamente più lineari; le prove continuarono per molto tempo ma la qualità non era mai sufficiente. Finché, nel 2005 Chodorov entrò in contatto con la detentrice dei diritti di Hans Richter. Il Centre Pompidou l’aveva infatti incaricata di realizzare un’edizione dvd di in occasione di un’esposizione sul dadaismo: la donna propose di usare la raccolta già editata da Chodorov, trasferendola sul nuovo supporto. Il dvd fu quindi realizzato in coedizione con il Centre Pompidou, ma è stata Re:Voir a occuparsi della fase pratica. Con un budget maggiore a disposizione si riuscì a realizzare una buona copia, la cui distribuzione si rivelò un successo: in tre mesi furono venduti tremila pezzi, un terzo di quelli vendute in un anno in VHS. La società decise di investire l’incasso e ogni risorsa in laboratori prestigiosi: i primi autori ad essere editati furono Maya Deren, Hans Richter, Stan Vanderbeek. La svolta decisiva avvenne intorno al 2011 con l’evoluzione dell’algoritmo di compressione: fu infatti possibile passare a velocità superiori e lavorare su film esteticamente più complessi. Il nodo principale da scogliere sarebbe stato trovare i mezzi finanziari per riuscire a trasferire in DVD tutto il catalogo: all’epoca la società non aveva abbastanza credibilità di mercato per rivolgersi alla istituzioni. L’occasione – ennesima – per Re:Voir arrivò nel 2012 quando in coedizione con Potempkine e Agnès-B (altre due società di edizione francesi) realizzò un cofanetto bilingue con alcune opere di Jonas Mekas. Anch’esso si rivelò un’operazione riuscita. L’insieme di queste strategie e opportunità ha permesso a Re:Voir di elevarsi economicamente stringendo un sodalizio economico tutt’ora esistente con il CNC, attraverso un sistema di contributi annuali che gli consente di realizzare una dozzina di edizioni all’anno.

A partire dal 2014 una selezione del catalogo di Re:Voir è disponibile a pagamento on demand sulla pagina Vimeo della società, in qualità Blu-Ray 1080p e HD. Anche in questo caso il passaggio a un ulteriore modello distributivo – sempre più distante dall’originale – non fu semplice. Il problema che si manifestò con il VOD non fu quello della qualità, piuttosto trovare la giusta chiave con cui approcciare il pubblico e simultaneamente convincere i cineasti che rendere le proprie opere fruibili su più canali diveniva necessario, sia per fare in modo che la loro produzione non rischiasse nuovamente di soccombere, sia per arginare la pirateria.

Di fronte al dilagare dei servizi streaming e dalla presenza sempre più considerevole di opere sperimentali d’autore su canali rinomati, quali MUBI e La Cinetek,  l’obbiettivo di Re:Voir è quello di creare la propria piattaforma. Nella primavera del 2019 l’équipe ha presentato un progetto molto ambizioso al CNC, che consiste nella creazione di un’applicazione utilizzabile su ogni dispositivo in cui non solo avere accesso ai film del catalogo ma anche fungere da strumento didattico. Quello che immagina Pip Chodorov è un’applicazione che funzioni quasi come un social network, in cui poter inserire i libretti del dvd, articoli di giornale relativi alle opere, materiale fotografico, proiezioni ed eventi organizzati dalla società, facendo pagare un abbonamento esiguo di circa 10 euro al mese. Attualmente il progetto è in pausa: trovare una società che sviluppi l’applicazione a un prezzo vantaggioso non è facile, ma l’équipe di Re:Voir continua perseverante, convinta della necessità di questo cambiamento.

«Più volte ho pensato di essere ancora marginalizzato dalla tecnologia, dall’industria, che essa non fosse pensata per i film d’artista»[6]: la storia di Re:Voir è sinonimo degli immensi e sconosciuti ostacoli legati a un genere tanto ricco quanto fragile, di cui ogni appassionato di cinema deve prendere atto.

[1] Julien Mustin, Ce n’est pas une économie, c’est une écologie – Entretien avec Pip Chodorov, in « Poliplus », giugno 2013, p. 38

[2] Il catalogo di Re:Voir Vidéos è consultabile al sito www.re-voir.com .

[3] Raphael Bassan, Cinéma expérimental, Abécédaire pour une contre-culture, op.cit., p.72 («All’epoca, nel 1998, pochi francesi utilizzavano internet, anche se avrebbe iniziato a diffondersi rapidamente. Ho quindi ripreso il re: delle mail, che in inglese significa regarding o in reference to: i film sono anche degli studi a proposito della visione, il modo in cui i cineasti vedono il mondo. Il secondo significato è quello più letterale, cioè vedere di nuovo.» Pip Chodorov).

[4] Alessandro Leiduan, La possibilité de l’hybridationIntervista a Massimo Bacigalupo, Babel, 2014,  https://journals.openedition.org/babel/181

[5] Catalogo Re:voir 2006 .

[6] Conversazione con Pip Chodorov,  16 novembre 2019.