Quando nell’ormai remoto 15 agosto 2020 il profilo Instagram di Nanni Moretti ha condiviso un video in cui, sotto le note di I’m Your Man di Leonard Cohen, il nostro riproponeva il suo memorabile giro in vespa per le strade deserte di Roma, ho pensato che in sella, spalle alla (foto)camera, non ci fosse davvero Nanni Moretti. Nel magma delle immagini istantanee, mi sono ricordato che un amico, un paio di anni fa, mi aveva girato un altro curioso surrogato parodico, questa volta in salsa videoludica: l’incursione a Spinaceto, con tanto di sonoro originale, ricollocata nella Liberty City di Grand Theft Auto. Senza nulla togliere all’uso dei social che Moretti sta facendo, e neppure all’autore di questo crossover consumato in partenza, ho pensato che se c’è una cosa che Moretti non ha davvero ancora saputo elaborare, rovesciandola come ha fatto prevedendo e riproponendo col suo cinema la fine della sinistra, il berlusconismo o la crisi della fede, è stata l’avvento della cultura digitale nella nostra società. Il modo in cui ha cambiato le nostre vite, il nostro rapporto con noi stessi e gli altri, la percezione della nostra immagine, il nostro ricorso scontato, obbligato, alla prima persona singolare.

Che Caro diario, restaurato dalla Cineteca di Bologna a meno di trent’anni dalla sua uscita in sala, sia tornato nei cinema in due tornate, ma in ogni caso in un momento di paralisi e incertezza del settore, giocoforza accompagnato da un propagarsi del virtuale (anche cinematografico) nelle nostre vite, mi ricorda una di quelle congiunture paradossali che lo stesso Moretti avrebbe potuto raccontare nel suo film più personale e libero: perché Caro diario è stato il momento di massima elaborazione di quell’attitudine morettiana a sondare con il cinema la matassa tangibile dell’esistenza, senza inseguire alcuna tesi, ma al contrario partendo dalla qualsiasità del quotidiano e rivendicandone una legittimità altrimenti invisibile. Più volte associato ad un inguaribile narcisismo, in realtà Caro diario usava l’io come pretesto di un piccolo, grande poema collettivo sull’irrudicibile natura analogica del nostro tempo fra le cose, che tra peregrinazioni urbane, visite a isole come luoghi di concretizzazione dei nostri desideri, e diagnosi mediche inconcludenti, sapeva giocare a distillare una forma di adeguatezza verticale ai casi della vita, uno stoicismo non dogmatico di fronte alla pervasività dei dati discreti che, a partire dalla televisione, iniziavano a inquinare (e poi avrebbero invaso) la nostra esperienza, i nostri “costumi”, la nostra cultura sociale.

Così oggi mi piace pensare che il famoso monologo sul trovarsi, “anche in una società più decente di questa, sempre con una minoranza di persone” – del tutto arbitrario, e per questo eluso nel tempo di attesa di un semaforo verde – possa essere abbracciato nel 2021 come la migliore dichiarazione possibile di inadeguatezza rispetto al contemporaneo dei filtri e dei diari digitali. Quello smarrimento che continua a perdurare anche nei film di Moretti, ma indebolito del suo punto di vista, delle sue prese di posizione, che più erano personali e più erano aperte, generose, condivise anche quando non si era d’accordo con lui, o non lo si capiva fino in fondo, o gli si attribuiva una serie di false coscienze. È interessante osservare come, tra le molte parole citate, rimasticate o respinte dei suoi copioni, il cinema di Moretti sia stato in Italia uno dei più popolati da ricorrenze fisiche elementari: schiaffi, spinte, tavoli rovesciati, oggetti rotti, corse, abbracci, balli di gruppo. A mettere in sequenza queste immagini, in questo momento, si prova un brivido. Contatti cercati e già perduti, come il passato che più volte i suoi personaggi o alter ego si trovano a rimpiangere, quel tempo che “non ritornerà più”. Caro diario è il più ottimista dei film di Moretti perché anche di fronte alla perdita della memoria o al deteriorarsi dell’esperienza tangibile, anche di fronte all’imprevedibilità di ciò che ci attendeva, sapeva esprimere una possibilità ulteriore, una speranza individuale ma in dialogo con gli altri, un ludico e liberatorio proposito di messa a nudo. Possa giovare, in tempi completamente differenti, anche ai giorni in cui, speriamo prestissimo, dovremo risollevare la testa dai nostri smartphone, almeno un po’ di più.