A partire da questa 74ª edizione la sezione Pardi di domani del Locarno Film Festival si arricchisce di un concorso in più (oltre ai già consolidati nazionale e internazionale): si tratta di Corti d’autore, uno spazio dedicato alle opere brevi di registi e registe già affermati nel panorama cinematografico. Una presa di posizione sul formato breve, guardato non più come trampolino di lancio e momento di incubazione della carriera di un cineasta, ma come deviazione più o meno improvvisa per un piacevole ritorno. I cortometraggi difficilmente escono dal circuito festivaliero, confinati nella loro nicchia godono spesso della libertà di sperimentazione, del puro piacere narciso di fare cinema; intercettano una personale visione e aderenza con la realtà e si dilettano con la materia, i generi, i formati e con chi sta al di là dello schermo. Le opere di Pardi di domani fanno questo e come in un gioco di specchi si riflettono tra loro.

Riscrivere il finale

La negazione della totale libertà fisica a cui abbiamo dovuto far fronte nell’ultimo anno ne ha alimentata un’altra, quella di reimmaginare e reinventare i fatti del quotidiano: tre cortometraggi in particolare sembrano voler rivendicare la propria visione dominando e riscrivendo la realtà a proprio piacimento. Trame inverosimili che vagano solitarie e personaggi femminili che cercano una propria rivincita, ottenendola, a partire dallo stop motion Steackhouse (Concorso internazionale) dell’animatrice slovena Špela Čadež. Colori pastello volutamente sfocati ci invitano alla cena preparata da Frank, alla quale Liza è in ritardo: a farne la spesa saranno le pietanze nel piatto, oggettificazione di rabbia e sentimenti repressi che finiranno presto per esplodere; le tinte si fanno sempre più macabre e sinistre e Liza troverà il modo per far tacere Frank per sempre, ingoiandone le avide parole in una legge del contrappasso finale. In Es Muss (Concorso nazionale) Flavio Luca Marano e Jumana Issa realizzano invece una commedia ricca di dark humour svizzero seguendo la serie di sfortunati eventi che colpiscono la giornata di Silvia: una maledizione quasi divina che troverà il proprio epilogo in un atto di ribellione decisamente umano. Infine Les Démons de Dorothy (Concorso internazionale), lisergica perla camp del regista francese Alexis Langlois: intrisa di riferimenti alla cultura pop degli anni Novanta (primo fra tutti Buffy the Vampire Slayer), l’opera è una parodia a più livelli delle limitazioni artistiche dettate dell’industria cinematografica – da Xavier Dolan fino al Festival di Cannes – e divertente omaggio al cinema queer.

Mis/identities

La ricerca esteta, visiva ed intellettuale di Bertrand Mandico raggiunge il suo apice in Dead Flash (Corti d’autore), un  mediometraggio composito di unità linguistiche e sperimentali – non poteva essere altrimenti – che conferma lo sposalizio del regista con il formato corto, da sempre terreno per le sue idee migliori. Dead Flash è un’opera in due parti: la prima, un videoclip simbolista, glam e funerario, melange tra erotico ed onirico; la seconda, una lunga riflessione tra due scimmie antropomorfe – nel ruolo di una modella e la sua fotografa – sul concetto della bellezza pura nella società dello spettacolo e dell’immagine. Le due scimmie cambiano location come su un set, in una performance decadentista che assume presto le fattezze del monologo interpersonale, rimando a quello di un altro cortometraggio del regista, Souvenirs d’un montreur de seins. L’immagine, la ricerca della perfezione assoluta, ritorna in Mask (Concorso internazionale) della regista iraniana Rava Rezvani, nel quale la plasticità invocata da Mandico diviene concreta sulla pelle della protagonista – la quale si sottopone a un intervento di chirurgia alle labbra per volere del suo ragazzo – e prosegue per culminare nell’universo digitale e virtuale di The Sunset Special (Concorso internazionale). L’animazione sperimentale del tedesco Nicola Gebbe è la materializzazione estrema di una uncanny valley, quella valle (teorizzata negli anni ‘70 dallo studioso di robotica Masahiro Mori) resa ancora più perturbante dall’identificazione dello spettatore con l’alienante realtà social di cui è consapevole e silenzioso complice, non più vittima.

Riscoprire le immagini

Parlavamo delle infinite possibilità e libertà espressive concesse dal formato corto: Radu Jude con il suo Caricaturana coglie l’occasione per divertirsi e tornare nel passato, prima dei Lumière, riflettendo sui suoi meccanismi interni e sull’idea di messa in scena, e facendo propria “un’idea vecchia di 100 anni” di Sergej Ejsenstejn. Il regista realizza un montaggio attraverso le caricature litografiche della serie Caricaturana di Honoré Daumier, ritraenti le pose del personaggio Robert Macaire, noto truffatore francese. Alle sequenze silenziose volute dal cineasta russo si aggiungono gli interventi del regista romeno, che sfociano in una sagace commedia politica e culturale: ed è così che le teorie di un altro russo, Lev Kuleshov, incontrano le famose candele di Gwyneth Paltrow. Provocatorio come sempre, Radu Jude torna sulle teorie più assodate e studiate della storia del mezzo cinematografico riscoprendo in esse il piacere puro di fare cinema.

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