L’ossessione, per essere tale, deve avere come oggetto qualcosa di sostanzialmente inutile, qualcosa che non abbia un fine pratico evidente, ma possibilmente esclusivamente un fine estetico, altrimenti non possiamo definirla ossessione, quanto piuttosto dedizione, impegno, trasporto. Ecco perché molto spesso l’ossessione si accoppia spesso alla bellezza, o all’arte intesa (a torto) come fine a se stessa.

All’interno di Medusa Deluxe, presentato al 75° Locarno Film Festival, Thomas Hardiman sussume esattamente questo triangolo ideale ed eterno, quello che soggiace tra estetica, arte e, appunto, ossessione.

L’azione è già avvenuta quando questa storia si palesa sullo schermo attraverso un turbinoso piano sequenza: un omicidio si consuma all’interno di una comunità di parrucchieri, che si preparano per un importante concorso di acconciature, ma l’evento drammatico e l’importanza in sé (e per sé) del concorso sembrano ricoprire la stessa, esatta, importanza. I capelli fungono in questo senso da pretesto simbolico per rappresentare il superfluo, ciò che incarna la pura bellezza, quella che non ha una specifica funzione biologica, ma che diventa il centro del mondo dei protagonisti di questo racconto corale. Tanto è forte questo assunto poetico da riflettersi da subito anche come centro drammaturgico, mettendo in scena la gerarchia tra i personaggi anche attraverso simbolismi talvolta volutamente grotteschi, come l’ostracizzazione e la marginalizzazione (che avrà poi i suoi tragici effetti) dell’unico personaggio pelato del film, sprovvisto quindi di questo superfluo, di questa “corona che non ci togliamo mai di dosso”.

Lo “stile” filmico funge da mezzo ideale per il discorso di Hardiman, il piano sequenza incarna lo sforzo oltre misura, in cui il montaggio interno è il movimento di camera stesso, elevando l’inesistente a struttura filmica, così come accade per la preparazione di un’acconciatura da concorso.

Iconicamente coerente in questo senso è l’unica scena in cui sembra esserci empatia tra due personaggi: una delle modelle è stata preparata a dovere per la competizione, con una pettinatura a vortice che sfocia in un modellino di veliero luminoso sulla sommità. Estatiche le due parrucchiere ammirano l’opera e commosse si lasciano andare a parole affettuose. Sarà l’unico momento nel film, prima che torni la diffidenza, la rabbia e la paura, dopo che infatti questa capigliatura sarà caduta rovinosamente in fiamme.

Se la messa in scena (e la colonna sonora, che sembra composta da pettini usati come strumenti musicali) è l’impalcatura e la narrazione è la struttura interna, Hardiman lascia volutamente questa struttura cava, dipingendo un thriller volutamente intriso di colpi di scena che non vanno da nessuna parte, che creano sensazione nella coscienza di essere solo spettacolo.

Per questo motivo tutti i protagonisti sembrano svuotati dentro, viaggiando senza uno scopo (in questo senso è difficile non pensare alle strutture narrative dei film di Robert Atlman, che sembrano tra i punti di riferimento più chiari del film) e ritornando poi, alla fine, verso questa incoscienza di sé che il film aveva lasciato volutamente indietro al suo inizio, costituendo un circolo che sembra non finire mai, nel labirinto costante di questa nostra martoriata e stanca contemporaneità.