Non sempre il pubblico arriva a conoscere il nome della casa di distribuzione di un film. Al di là degli addetti ai lavori e dei frequentatori dei festival, spesso il pubblico generalista non è esposto alle migliori opere del cinema contemporaneo, rimanendo all’oscuro delle professioni del cinema e delle fasi che caratterizzano la filiera cinematografica. In questo contesto, la piccola casa torinese Reading Bloom sembra costituire una virtuosa eccezione, grazie al suo impegno nel far circolare film sconosciuti e ritrovati e opere contemporanee di grande forza nelle sale italiane, da nord a sud, aprendo un dialogo diretto con il pubblico sia da parte degli autori che da parte dello stesso distributore. Il lavoro, spesso invisibile, del distributore diventa così quello di guida, di tramite con lo spettatore, nel presentare e accompagnare le opere cinematografiche e nell’individuare nuovi contesti di fruizione attraverso cui rendere accessibili i film e avvicinare diverse tipologie di pubblico.

Nata nel marzo del 2016 dalla passione e dagli sforzi di Maria Letizia Gatti, la Reading Bloom è nota oggi come una garanzia di qualità e di ricercatezza delle opere distribuite. Grazie, in particolare, alla collaborazione con la casa di distribuzione statunitense Milestone Film, la Reading Bloom ha portato al pubblico italiano i documentari, i film saggi e le opere sperimentali di autori come Samuel Beckett, Ross Lipman, Shirley Clarke, Charles Burnett, Billy Woodberry, George T. Nierenberg. Coltivando un interesse quasi archeologico per gioielli cinematografici come The Connection (lungometraggio d’esordio di Shirley Clarke, unica figura femminile della New American Wave, e straordinario esempio di meta-cinema al ritmo di jazz), e avendo riportato in sala opere di illuminante valore storico oltre che artistico, come No Maps On My Taps di George T. Nierenberg (che restituisce il tip tap alla strada e agli artisti afroamericani che l’hanno reso grande), la Reading Bloom è impegnata attualmente anche nella distribuzione di film contemporanei, come l’ultimo film in tour nelle sale La scomparsa di mia madre di Beniamino Barrese, ritratto in fuga della modella milanese Benedetta Barzini, le cui rughe sono una dichiarazione di guerra alla fagocitante società dell’immagine.

Abbiamo incontrato la fondatrice Maria Letizia Gatti per parlare del mestiere del distributore, e del delicato e prezioso lavoro di divulgazione, valorizzazione e curatela che accompagna l’uscita in sala dei film e l’incontro con il pubblico.

Come nasce l’esperienza della Reading Bloom?

Nasce dall’incontro con Ross Lipman, filmmaker e archivista di Los Angeles, specializzato nel restauro di pellicole indipendenti e sperimentali come Shadows di John Cassavetes, CROSSROADS di Bruce Conner, The Connection di Shirley Clarke. Nel maggio 2015 gli proposi un’intervista a proposito del restauro di Film di Samuel Beckett e del suo cine-saggio Notfilm, che avrebbe debuttato nell’ottobre dello stesso anno al BFI London Film Festival. Con grande sorpresa ricevetti subito risposta, così andai a Los Angeles. Di ritorno, a New York, conobbi i suoi produttori, Dennis Doros e Amy Heller della Milestone Film, a cui va il grande merito di aver riscoperto e distribuito in tutto il mondo opere straordinarie di autori come Charles Burnett e Shirley Clarke. Furono loro a propormi di distribuire il catalogo Milestone in Italia, così decisi di fondare Reading Bloom. Sarò per sempre grata, a loro e a Ross, per la fiducia che hanno riposto in me e per avermi insegnato un mestiere di cui non conoscevo nulla.

La tua formazione qual è?

Ho studiato cinema a Torino, ma mi sono formata sulle teorie critiche della Scuola di Francoforte. Devo ancora laureami alla magistrale, ho cambiato la tesi diverse volte passando dal cinema di Slavoj Žižek, che rilegge Lacan e Marx, al teatro di Thomas Bernard, dove nella spietata mise en scène della dialettica servo-padrone ritrovo Hegel e certi scritti su autorità e masochisimo di Fromm. Ho abbandonato entrambi i progetti quando ho iniziato a lavorare per Paravia, una casa editrice specializzata in edizioni scolastiche.

Nel contesto della distribuzione italiana, da che esigenza nasce la voglia di reinventarsi e iniziare da capo con la Reading Bloom?

Ho sentito il desiderio di mostrare al pubblico delle opere poco conosciute in Italia, a cui spesso vengono dedicati omaggi e retrospettive in altri paesi del mondo. Ho iniziato il lavoro di distribuzione con i film restaurati, purtroppo non in pellicola ma in digitale. Uno degli aspetti più seducenti del mio lavoro riguarda il materiale d’archivio, le connessioni artistiche che si sono generate in certi momenti storici dal New American Cinema con Shirley Clarke al movimento afroamericano della cosiddetta L.A. Rebellion ai found footage films di Bruce Conner. Volevo creare un catalogo che perdurasse nel tempo valorizzando queste opere ‘invisibili’, i loro autori e i loro archivi.

Il vostro è un lavoro di dissotterramento delle opere, anche quelle più contemporanee.

Il lavoro sui film di recente produzione è arrivato in un secondo momento, ma segue la stessa idea editoriale. Per i primi due anni ho lavorato da sola, a Film, Notfilm, Ornette: Made in America… Scherzando, dicevo, ‘Reading Bloom è un plurale maiestatis’. È stato un tempo credo essenziale, di studio, progettazione, ascolto. Poi sono arrivati altri film e, assieme ai film, alcuni collaboratori indispensabili come Alessandro Del Re e Salvo Ricceri. Non posso nominarle tutte, ma sono davvero tante le persone che sostengono Reading Bloom con intelligenza e dedizione. Quindi dallo scorso anno ci siamo avventurati su un doppio binario distribuendo, accanto ai restauri, anche opere contemporanee come Still Recording di Ghiath Ayoub e Saeed Al Batal, esperienza condivisa dalla SIC di Venezia 75 con gli amici di Isola Edipo e Kama Productions, 9 Doigts di F.J. Ossang e La scomparsa di mia madre di Beniamino Barrese, due film che non avremmo potuto distribuire senza la preziosa collaborazione della Rodaggio Film.

Nel 2020 porteremo finalmente nelle sale italiane i film dei registi afroamericani Charles Burnett e Billy Woodberry, la tap dance di George T. Nierenberg, The Juniper Tree di Nietzchka Keene, primo film interpretato da Björk e restaurato da Ross Lipman, e Canción sin nombre, straordinario esordio alla regia della filmmaker peruviana Melina León, presentato in prima mondiale alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. Ma stiamo lavorando anche ad altri progetti…

La linea che vi orienta sembra essere l’eccezionalità delle opere, ai limiti della resistenza politica, si pensi alla figura di Benedetta Barzini ne La scomparsa di mia madre, ma anche allo sconvolgente vitalismo dei ragazzi siriani di Still Recording. Cosa vi ha convinto a distribuire queste opere contemporanee?

Scegliamo film che hanno per noi una qualità artistica eccezionale. A orientare la scelta è una bellezza che definirei insopprimibile, ma più che i contenuti ci interessano i linguaggi, la sperimentazione sulla forma. Il nome Reading Bloom è al contempo un omaggio a Wilde, Beckett e Joyce, l’autore che maggiormente ha significato per me il vertice della ricerca sulla forma in letteratura. In altri termini, i modi di vedere sono essenziali. Ad esempio, sono stati realizzati diversi film sulla Siria ma di Still Recording, in particolare, ci ha colpito quello sguardo. Certamente il discorso culturale è un discorso di politica culturale e in questo senso può essere letto come un atto di resistenza: per dirla con Benjamin, non ci interessano le ‘opere di rifornimento’. Ma per mettere in atto questa resistenza si può solo fare i conti con l’industria culturale. Allora la distribuzione cinematografica, intesa come discorso culturale, diventa un atto di pratica politica.

E anche sovversiva, forse…

Si spera. In una modalità dialettica, però. Penso sia importante svestire l’abito del conformismo senza travestirsi da anticonformista. Tentare cioè di frequentare il non conformismo nel sistema che si critica ma con rigore e sguardo dialettico. Tutto questo l’ho appreso ai tempi dell’università da un docente di storia del teatro e dell’attore a me molto caro, Gigi Livio, che mi insegnò il ‘teatro di contraddizione’ da Carmelo Bene a Leo De Berardinis, a Bertolt Brecht a Samuel Beckett, senza mai dimenticare Benjamin e Adorno. Anche la parola ‘indipendente’ è scivolosa e ambigua, di per sé cosa significa? Lo si dice di un produttore, un regista o un distributore per indicare la sua non appartenenza a un sistema verticale. Dopodiché penso che sia una parola abusata, o usata in modo inappropriato, perché si è sempre dipendenti da un rapporto di relazione con l’altro. Si può solo decidere come frequentare quella relazione: con cialtroneria o con dignità, con prepotenza o con grazia… Ognuno sceglie da che parte stare, io ho scelto la mia.

La distribuzione è un anello fondamentale, spesso debole, della catena cinematografica, e molti film vengono visti ai festival e muoiono lì.

Ogni mercato ha la sua peculiarità: la Francia è una mecca, in Italia invece un’altissima percentuale dei film prodotti ha vita breve nei film festival. Avverto quindi un forte bisogno, da parte di registi e produttori, di trovare una distribuzione theatrical ma è un mercato complesso da scardinare. Il box office certo è importante, credo però che si ragioni troppo per grandi temi, mode, target, parole che mi fanno rabbrividire. Si assecondano i gusti del pubblico temendo che il pubblico non possa capire, invece un pubblico esiste e non cerca sempre un innocuo intrattenimento. E comunque la sfida sta nel sorprenderlo, nell’educarci, altrimenti che gusto c’è?

Sembra che il consumo si stia evolvendo spostandosi in luoghi di fruizione diversi dalla sala.

La sala per me conserva il suo incanto e la sua importanza, ma non è certo l’unico spazio di fruizione possibile. Accanto al theatrical curiamo altri progetti in altri contesti: rassegne, mostre, lezioni di film restoration, musica dal vivo… Film di Beckett, ad esempio, è stato proiettato per diversi mesi a Roma a Villa Medici e poi alla Fondazione Alda Fendi – Esperimenti nel corso di una mostra a lui dedicata. Quest’anno, per omaggiare i cento anni dalla nascita di Shirley Clarke, abbiamo curato una piccola mostra di home movies e fotografie inedite all’Unione Culturale per il Torino Fringe Festival. In parallelo abbiamo sviluppato progetti di musica dal vivo, assieme a Maria Teresa Soldani e Roberto Paci Dalò, su alcuni cortometraggi della Clarke che difficilmente avrebbero avuto visibilità. Nel 2018 abbiamo presentato al Museo del Cinema di Torino un programma di found footage film in pellicola di Bruce Conner, uno degli artisti più importanti del secondo dopoguerra, a cui il MoMA di New York e di San Francisco hanno dedicato una monografica completa pochi anni fa. Ross Lipman, che in Italia ha tenuto diverse lezioni sul restauro cinematografico, per l’occasione si è esibito all’interno della Mole con THE EXPLOIDING DIGITAL INEVITABLE, un ‘live-documentary-essay’ su CROSSROADS, pellicola che ha restaurato insieme a Michelle Silva del Conner Family Trust. È stato un caso forse unico perché la fondazione che detiene i diritti dei film e delle opere di Bruce Conner non concede sub-licenze a nessuno nel mondo e per Reading Bloom ha fatto un’eccezione offrendoci l’opportunità di proporre i suoi film in Italia e collaborare ancora in futuro.

Quali sono le fasi del lavoro di distribuzione?

La ricerca dei film avviene ai film festival o guardando i cataloghi di distributori, produttori e sales agent internazionali. Talvolta ci vengono suggeriti dagli stessi registi o da amici e critici fidati. Dopo una fase di selezione si contatta l’avente diritto e si cominciano le trattative sui minimi garantiti, le finestre di distribuzione, gli anni di sfruttamento eccetera. Contestualmente si fa un piano di uscita in sala e delle spese di distribuzione, il cosiddetto P&A, e si preparano tutti i materiali: dcp, presskit, poster, trailer, comunicati stampa… Infine si contattano i festival e le sale decidendo di volta in volta, a seconda del film, una strategia di lancio. Per gli esercenti così come per i distributori è importante la presenza in sala degli autori e il coinvolgimento di enti e associazioni. Ad esempio, con la recente rassegna 1989-2019 Trent’anni senza muro, curata da Alessandro Del Re e Federico Rossin, abbiamo riportato nelle sale tre film dall’archivio della Deutsche Kinemathek e della DEFA-Stiftungh, grazie anche al sostegno del Goethe Institut Italia, di Cinemazero e Le Voci dell’Inchiesta. La risposta dei cinema, delle scuole e del pubblico ha superato le nostre attese.

Si distingue del vostro lavoro uno stare al limite tra distribuzione e curatela, seguite un percorso con gli autori per cui è necessario coltivare dei veri e propri legami con chi crea.

È la parte del lavoro che forse mi gratifica di più. Il rapporto con gli autori dischiude mondi meravigliosi. Nel caso de La scomparsa di mia madre, ad esempio, è per me un privilegio poter accompagnare Beniamino Barrese e Benedetta Barzini alle proiezioni. Tutto il lavoro, dalla preparazione al lancio in sala, diventa così frutto di un dialogo e di un ascolto. Reading Bloom è una casa di distribuzione molto piccola ma ci prendiamo cura degli autori e delle loro opere e credo che questo sia il valore aggiunto per chi a quel valore tiene. Per me la relazione è la forma più alta di bellezza e di dialettica. Disprezzo l’approssimazione, la pochezza, l’incuria.

Senti di aver intercettato un tuo pubblico?

Dopo quattro anni di attività sento una grande crescita sia nel rapporto con il pubblico che nella collaborazione con le sale e i film festival (alla Mostra del Cinema di Venezia quest’anno a Isola Edipo/Giornate degli Autori sono stati proiettati in anteprima italiana due film restaurati del regista Billy Woodberry, esponente del movimento L.A. Rebellion, mentre al Locarno Film Festival è stato proiettato nell’ambito della retrospettiva Black Light il film Killer of Sheep di Charles Burnett). Diversi critici, programmatori, spettatori cominciano ad apprezzare e a riconoscere una linea editoriale nel nostro catalogo. È difficile poiché, non essendo una casa editrice e non avendo ancora un catalogo home video, il mestiere del distributore è pressoché invisibile. Per noi, invece, è molto importante il lavoro curatoriale.

Quali sono le maggiori difficoltà nella distribuzione?

Il rapporto con gli esercenti e quello più indiretto con gli altri distributori. L’industria cinematografica è un sistema oligarchico, quasi monopolistico, in cui i soliti noti salvaguardano i propri interessi esclusivi. Come succede tra editori e librerie, se una casa di distribuzione non passa attraverso le agenzie regionali o altri rappresentanti, che sono i veri programmatori occulti delle sale, non otterrà mai uno spazio di programmazione equo e questo succede a prescindere dalla bellezza e dal valore del film che proponi. In un sistema rovesciato, il MIBACT attribuisce contributi e qualifiche a film, festival e sale d’essai sulla base di criteri che poco o nulla hanno a che spartire con qualità, valore e merito. Per restare alle sole sale, gli esercenti virtuosi, che guardano i film che programmano, si contano su una manciata di mani. Offrono spazi di proiezione anche a distributori più piccoli dimostrando che un pubblico esiste e si può rischiare di sorprenderlo. Spesso queste sale che osano vengono escluse dalla programmazione dei film delle major, che chiaramente sono un ossigeno per i cinema e per la loro possibilità di sostentamento. Questo sistema di imposizione ricattatorio perdura da tempo ed è tristemente noto agli addetti ai lavori che di continuo se ne lamentano. È un aspetto nevralgico e dolente, che dovrebbe essere noto al pubblico, non tanto il libero mercato quanto lo strozzinaggio: vuoi l’ultimo film di supereroi?, vuoi permetterti di esistere?, allora devi programmare altri dieci film mediocri, come e per quanto lo decido io. Credo in sintesi, su un piano materiale-dialettico che imbraccia il donchisciottesco, che sia possibile frequentare pratiche di lavoro culturale divergenti, ma solo a condizione di aprire la maglia dell’io a quella del noi, come discorso collettivo. Sono tuttavia consapevole che l’audacia di per sé non è sufficiente, serve tempo e servono sostegni economici, ma esistono persone che su questi ‘no’ e questi ‘noi’ riescono a fare la differenza.

Il digitale ha in sé delle opportunità? Avete in questo senso dei progetti in ballo?

Offre senz’altro delle opportunità, che dobbiamo ancora esplorare, ma si scontra con la pirateria sempre più pervasiva. Esistono tantissime piattaforme, come MUBI, che a un prezzo irrisorio offrono al pubblico la possibilità di vedere dei film meravigliosi. Ma non si concepisce più un tempo di attesa, l’oggetto del nostro desiderio deve essere disponibile subito, possibilmente gratis su Youtube o su qualche sito di streaming illegale. Per cui il problema è culturale prima ancora che legale. A me preme molto che il pubblico capisca il valore del lavoro culturale, che deve essere retribuito e dunque compreso. Ringrazio quindi FilmIdee perché occasioni come questa offrono l’opportunità preziosissima di parlare del proprio mestiere ‘invisibile’.