Tra associazioni ufologiche, veggenti con lAlzheimer e servizi di cronaca nera, Espíritu Sagrado di Chema Garcia Ibarra – presentato in Concorso internazionale e vincitore di una Menzione speciale a Locarno 74 – racconta i pericoli e le implicazioni delleccessiva credulità. In un quartiere operaio di Elche scompare una bambina: la sorella gemella ne diventa il cartello segnaletico vivente, mentre il suo introverso zio cerca prove sugli extraterrestri con un gruppo male assortito di credenti.

Garcia Ibarra muove la sua storia in un silenzioso gioco di contrasti visivi e tematici: le pareti di un caffè di quartiere sono contaminate dalle gigantografie delle piramidi di Giza, il modesto appartamento del protagonista è ricco di simulacri esoterici e, in generale, le suggestioni del paranormale – qui nelle sembianze di un’oggettistica kitsch e ipersatura – interferiscono sulle normalissime vite dei personaggi. Le suppellettili, gli schermi dei cellulari e le televisioni accese (in un contrasto anche tecnico tra le riprese analogiche e il digitale immortalato) restituiscono un repertorio di ambienti eloquenti, più dei laconici personaggi che li abitano.

La direzione registica e narrativa è piuttosto decisa: con il pretesto dei guizzi soprannaturali e l’attesa del paranormale ci si apre ai risvolti grotteschi della realtà. Si coglie uno sguardo ironico sulle bizzarre consuetudini dei complottisti senza però cedere a una cronaca derisoria; l’umorismo infatti è arginato da un contesto più serio, che tende a dimostrare con distaccato cinismo che l’interpretazione del mondo deve essere radicata nello scetticismo. Al contrario di quanto sostenuto autonomamente dall’istanza narrante, ogni personaggio si riferisce invece a un sistema di credenze disperato, nella tendenza a trascendere fatti e pericoli ben più terrestri. [Rebecca Ricci]


Fuga dalla realtà

mostro

Mostro di José Pablo Escamilla (che firma l’opera a nome al Colectivo Colmena), presentato nel Concorso Cineasti del presente a Locarno 74, è un film che racconta la sofferenza quotidiana e concreta di un popolo (la vicenda si svolge in Messico) attraverso i connotati della distopia e del fantastico. Mostro è il soprannome del protagonista del film, un giovane dolce e sensibile, introdotto nella storia dentro una prigione fatta di corridoi angusti e imballaggi opprimenti; quelli di una fabbrica (una maquilas) alla periferia di una grande città. La sua personalità emerge soltanto nel sentimento d’amore (quasi platonico) che prova verso una ragazza piena di vivacità ed energia, distaccata, ribelle: i due insieme si rifugiano in uno spazio bucolico, un luogo di confine estraneo a quello della città, dove la desolazione regna sovrana e dove i due si sono costruiti un piccolo rifugio, addobbato come una navicella spaziale.

Il rifugio è un non-luogo dalle forte suggestioni visive, connotato da una luce densa, quasi incisa; è freddo ma intimo e al suo interno i due parlano di alieni e spazio, come in una fuga per evadere dalla quotidianità terrena. Per poter comunicare con lo spazio i due utilizzano un gas allucinogeno. Tramite questa soluzione immaginifica la realtà rappresentata nel film si spezza: si entra in una visionaria sequenza onirica, fatta di immagini/ricordo e vite parallele (realizzata da un artista concettuale-visivo e non dal regista stesso). Sono tre le sequenze allucinogene che troviamo distribuite lungo il film, tutte prodotte da diversi artisti messicani; ricordano l’inconscio del protagonista, ma anche di un popolo che ha una grande componente creativa e poetica, raggiungibile spesso soltanto nei sogni. Al risveglio dal percorso onirico Mostro si ritrova a fuggire dalla polizia; dopo la fuga però la sua ragazza è completamente sparita.

Comincia così un viaggio alla ricerca del suo amore perduto, un viaggio fatto di lunghe ed estenuanti camminate in un ambiente oscuro, desolato e severo. Il film affronta l’importante tema delle sparizioni – soprattutto femminili – in Messico riservandogli il ruolo di evento drammaturgicamente centrale. L’impossibilità del protagonista di trovare la ragazza di cui è innamorato e la mancanza di collaborazione della polizia sono temi appendici a conferma della centralità di questo snodo tematico. Le lunghe sequenze di camminate presenti nel film sono poi la denuncia – come dichiarato dagli stessi autori – della condizione di una fascia di persone che non possiede un veicolo e deve coprire lunghe ed estenuanti distanze. Queste immagini risultano ipnotiche sullo schermo e portano lo spettatore a sentire da vicino, a intendere la condizione mentale e fisica di un’alienazione disumanizzante.

Realizzato con una componente tecnica molto simile al documentario – un impianto leggero e una crew che ricopriva a turni diversi i ruoli –, al netto della fotografia da grande film di finzione, Mostro è un film dalla forte carica sociologica, con un potente impianto di narrazione e un linguaggio visivo che trascende le parole e le didascalie più didattiche. In Mostro il cinema e le immagini forniscono una potente prova della propria forza linguistica: la narrazione di finzione diventa il mezzo per fuggire dalla realtà, resa, invece, dialetticamente dall’impianto e dallo stile documentaristico. Il risultato è un grande esercizio di narrazione per immagini, prima sullo schermo e poi fuori, perché uscendo dalla sala viene da chiedersi se il vero mostro non sia la società in cui viviamo. [Antonio Morra Des]

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