C’è un filo conduttore che lega Forensickness al desktop documentary precedente di Chloé Galibert-Laîné, Watching the Pain of Others, e più in generale tiene assieme gli interessi di indagine di questa filmmaker e studiosa: la fascinazione per chi, di fronte alla complessità e alle zone d’ombra dell’esistente ricerca ossessivamente degli indizi, dei pattern, delle risposte che lo liberino dal peso insostenibile dell’ambiguità e del caos.

Interrogare l’impulso alla dissezione ossessiva, meticolosa delle immagini, quella forensickness che sembra accomunare tanto chi crede ciecamente nella loro verità quanto chi presuppone sempre che nascondano in bella vista la loro menzogna, diventa per Galibert-Laîné lo spunto per una riflessione più generale sulla dimensione culturale delle immagini e sulle forme di negoziazione del senso che mettiamo in pratica attraverso di esse. Dalle prassi investigative amatoriali dei “redditor” che si improvvisano detective a quelle degli esperti nei notiziari televisivi, la sua disamina si allarga fino a comprendere il cinema hollywoodiano e le pratiche più sperimentali, entrambi accomunati dal desiderio di “dare forma all’informe scorrere degli eventi”: l’uno all’insegna dell’estrema leggibilità, l’altro di una complessa densità semantica.

In Forensickness, che ha l’andamento digressivo e meditativo di un’opera in cui non tutto torna, che interroga e non fornisce risposte certe, queste due tensioni convergono e si dispiegano, letteralmente, in un “detective wall” in cui le connessioni si fanno via via più labili, giocose e aleatorie. Ed è attraverso l’ironia che Galibert-Laîné fa emergere, mettendosi in gioco in prima persona, il piacere di performare il senso, di metterlo in scena, svelando allo stesso tempo l’illusorietà, propria di certe pratiche decostruttive, di poter mantenere una distanza dalle immagini, di non venirne implicati. Nei desktop documentary di Galibert-Laîné lo schermo, al contrario di quanto vorremmo in tempi di pandemia, non serve a proteggerci, ma è luogo di contagi, rovesciamenti, attraversamenti. [Chiara Grizzaffi]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/forensickness/


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 Registrare l’assenza

«Ici reposent les victimes de la guerre de juin 2000 a Kisangani» si legge su un cartello piantato in un terreno spoglio nella città di Kisangani, luogo di nascita del regista congolese Dieudo Hamadi e teatro di violenti scontri tra ruandesi e ugandesi. Non ci sono lapidi né monumenti dedicati alle vittime della Guerra dei Sei Giorni, solo uno spazio vuoto. La parte iniziale del documentario En route pour le milliard, presentato nel Concorso Internazionale Lungometraggi del 61° Festival dei Popoli, mette a tema una dolorosa assenza: il cimitero senza nomi e senza volti è lo specchio degli edifici distrutti e delle vittime di guerra rimaste ferite e prive di arti, dimenticate dal loro governo, che dopo vent’anni non ha ancora risarcito i danni.

Dieudo Hamadi vuole colmare quest’assenza e riportare alla luce fatti sepolti sotto il velo dell’oblio. Come un reporter, il regista segue il viaggio che alcuni membri del Collectif des Victimes de Kisangani compiono nel 2018 lungo il fiume Congo verso Kinshasa, per reclamare a gran voce i loro diritti. Hamadi si avvicina – con la camera a mano e con il cellulare – ai volti segnati, ai corpi mutilati e si pone in mezzo alla gente, dentro quella comunità, riprendendola con estrema empatia, come mostrano le sequenze dedicate alla marcia lenta e sofferente fino al palazzo del Parlamento. La camera di Hamadi, onesta e diretta, registra ciò che accade, ma si schiera sempre dalla parte dei più deboli, così come nei precedenti lavori (uno su tutti: Mama Colonel, storia di una poliziotta che difende donne e bambini maltrattati).

In En route pour le milliard la ri-attivazione dell’evento traumatico compie un doppio movimento: da una parte il viaggio verso Kinshasa, un percorso lineare e proteso in avanti; dall’altra il gesto circolare della ripetizione con lo spettacolo della compagnia Les zombies de Kisangani, formata da alcuni sopravvissuti, che mette in scena il trauma attraverso una performance teatrale. La memoria della tragedia viene affidata sia a un atto di re-staging sia alle riprese che documentano con onestà un’azione di protesta. Hamadi si fa carico di recuperare il passato della propria città e di riempire il vuoto con nuove immagini. [Giulia Bona]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/en-route-pour-le-milliard/


Maryanne-Amacher-in-Sisters-with-Transistors

Pioniere elettroniche

Clara Rockmore, Daphne Oram, Bebe Barron, Pauline Oliveros, Delia Derbyshire, Maryanne Amacher, Eliane Radigue, Suzanne Ciani e Laurie Spiegel: nomi che continuano a fare rumore, ma che appartengono a una storia silenziosa, quella delle pioniere della musica elettronica finalmente narrata nel film Sisters with Transistors, in anteprima italiana al Festival dei Popoli nella sezione Let The Music Play.

Procedendo a episodi, con un abile e poetico collage di filmati d’archivio, si susseguono le immagini che testimoniano un sovvertimento che va ben oltre il musicale. Lisa Rovner racconta senza mai eccedere in nostalgiche caricature un’avventura lunga un secolo, quella delle donne con il sintetizzatore e delle loro differenti e uniche personalità: c’è chi proviene dalla musica classica, chi ha formazione matematica, chi semplicemente ha avuto l’occasione di trovarsi di fronte a quei grandi macchinari; ognuna ne ha sentito il richiamo e intuito le infinite potenzialità.

La rivoluzione avviene dal basso e spesso in pochi metri quadrati, basta non porre confini alla propria immaginazione. Quello che stavano creando queste scienziate e inventrici del sonoro non solo stravolgeva la concezione canonica della musica (un individuo che suona uno strumento), ma soprattutto andava a imporsi su un’industria musicale, e in generale su tutta una società, governata in ogni passaggio dagli uomini: l’insieme di questi fattori ne ha impedito per molto tempo il riconoscimento nonostante i loro importanti contributi, specialmente nella cinematografia di fantascienza (tra le prime Delia Derbyshire con la realizzazione della sigla elettronica di Dr. Who).

«La tecnologia ha un eccezionale potere liberatorio. Fa saltare in aria la strutture di potere»: lo fa anche un film come Sisters with Transistors che esorcizza decenni di storie pionieristiche narrate da e per un unico sesso. L’immaginazione, il genio e la musica non hanno alcun genere ed è bene ricordarlo. [Vanessa Mangiavacca]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/sisters-with-transistors/


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